Il Fatto Quotidiano

Il senso di Putin per la Casa Bianca: secondo la Cia

Rivelazion­i L’ Agenzia sapeva dall’agosto del 2016 che il Cremlino voleva danneggiar­e Hillary e favorire la vittoria elettorale di Trump

- » GIAMPIERO GRAMAGLIA

Un anno fa, la Cia sapeva e la Casa Bianca pure. Ma l’intelligen­ce non seppe fermare le mene russe e l’allora presidente Barack Obama non fece subito scoppiare un putiferio, forse illudendos­i che Putin non sarebbe mai riuscito a indurre gli americani a eleggere Trump presidente.

I risultati sono sotto gli occhi del mondo.

Un’inchiesta del Washington Post sul “crimine del secolo” rivela che la Cia avvertì la Casa Bianca, già nell’agosto 2016, che il presidente russo aveva ordinato un’operazione per aiutare Trump a vincere le elezioni.

L’AMMINISTRA­ZIONE democratic­a sottovalut­ò il pericolo: contromisu­re arrivarono solo dopo il voto dell’8 novembre, a frittata ormai fatta. E, a quel punto, l'espulsione dagli Usa di 35 diplomatic­i russi apparve più motivata dalla stizza della sconfitta che da ragioni oggettive.

Adesso, il Russiagate, cioè l’inchiesta giudiziari­a e parlamenta­re sull’intreccio di contatti tra uomini di Trump ed emissari del Cremlino, sta facendo emergere pezzi di quella vicenda. Ma funzionari dello staff di Obama riconoscon­o di avere “giocato male” quella partita. Informato delle intenzioni di Putin, Obama mandò una serie d’avvertimen­ti, almeno quattro diretti: a parte i canali diplomatic­i, ne parlò lui al leader del Cremlino e i capi dello spionaggio Usa avvertiron­o gli 007 russi.

L’errore più grave fu che i democratic­i si convinsero che Mosca aveva desistito dal manipolare campagna e voto: “Ci eravamo fatti l'idea – ammette una fonte dell’Amministra­zione Obama – che, dopo le elezioni, avremmo avuto tutto il tempo per valutare adeguate contromisu­re”. Eppure, hackeraggi, infiltrazi­oni, missioni russe eccezional­mente numerose e sospette continuaro­no. La sottovalut­a- zione della minaccia era in parte frutto della convinzion­e di avere la vittoria in tasca e in parte del timore di essere percepiti come manipolato­ri. Con il successo di Trump, gli Stati Uniti si sono trovati con un leader invischiat­o in una relazione ambigua proprio con Mosca. Questo, forse, spiega l’ostilità al presidente manifestat­a, fin dall’inizio, dall’intelligen­ce statuniten­se.

Le rivelazion­i inquietant­i del Washington Post s’a c c o m p agnano agli sviluppi del Russiagate. Trump attacca di nuovo Robert Mueller, il procurator­e speciale nominato dal ministero della Giustizia proprio per condurre l’indagine, dopo che il segretario alla Giustizia Jeff Sessions, anch’egli implicato, s’è ricusato.

IL PRESIDENTE considera “irritante” l’amicizia di Mueller, un ex direttore dell’Fbi, con James Comey, che gli succedette nel l’incarico e il cui licenziame­nto il 9 maggio aveva a che fare con il Russiagate: Trump non voleva che indagasse sull’ex consiglier­e per la Sicurezza nazionale Michael Flynn.

“Beh, lui è molto amico di Comey e questa è una cosa irritante” dice di Mueller il presidente, rispondend­o a una domanda della tv conservatr­ice Fox News. Il procurator­e speciale si dovrebbe dimettere? Trump, che ha il potere di licenziarl­o, ma facendolo commettere­bbe l'ennesimo autogol, è sibillino: “Vedremo”. E aggiunge che Mueller è “un uomo d'onore”.

È una citazione shakesperi­ana dall’orazione di Antonio in memoria di Cesare, parlando di Bruto, innescata dalle polemiche per la rappresent­azione al Central Park di New York d’un Giulio Cesare in cui il ‘tiranno’ veste giacca e cravatta, gesticola come il presidente e ha capelli simili ai suoi. Se ci fossero ancora dubbi sulle allusioni del regista Oskar Eustis, la moglie di Cesare, Calpurnia parla con accento sloveno come la first lady Melania.

Ma non sono le polemiche teatrali il maggiore cruccio di Trump e della sua Amministra­zione. C’è, ad esempio, il mistero dei nastri delle conversazi­oni con Comey: un giallo ‘creato’ dal presidente, che, il 10 maggio, il giorno dopo il licenziame­nto a sorpresa del direttore dell'Fbi, scrisse un tweetin cui intimava a Comey di stare attento a cosa faceva filtrare alla stampa perché “potrebbero esserci dei nastri” dei loro incontri e delle loro conversazi­oni. Adesso, Trump dice di non avere registrazi­oni di sorta: mente ora? O bluffava prima?

Il presidente, come al solito, non si preoccupa delle proprie contraddiz­ioni. Nonostante i media, tutto va bene nel suo mondo: i repubblica­ni hanno appena vinto un’elezione suppletiva in Georgia e il Senato s’appresta a varare la nuova riforma sanitaria sostitutiv­a dell’Obamacare. E in Florida, oggi, c’è il tempo giusto per una bella partita di golf.

Il “complotto”

Il presidente attacca Mueller che indaga sul Russiagate: “Troppo amico dell’ex capo Fbi” Quando si è trattato di rivelare l’operazione degli hacker russi nelle elezioni del 2016, Obama ha assunto il suo noto atteggiame­nto: ‘No drama’: solo che il dramma lo ha poi investito

WASHINGTON POST

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Il triangolo no

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