Consiglio di Stato, caso istituzionale da grande declino
L’inarrestabile declino italiano rende superata una delle frasi più celebri e citate di Italo Calvino: “Viviamo in un paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti” ( Il barone rampante, 1957). Si verificano ogni giorno gli effetti di una classe dirigente più abituata a produrre cause senza saperne calcolare le conseguenze. Che però producono puntualmente danni sproporzionati alla fesseria che il furbo di turno, sempre più maldestro, ha combinato convinto di farla franca. Guardate la brillante operazione con cui, nel dicembre 2015, il premier Matteo Renzi e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nominarono presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno, palermitano ed ex capo di gabinetto di Mattarella. Uno strappo alla Costituzione: per la prima volta dal 1928 (quando Benito Mussolini impose al vertice del Consiglio di Stato il giurista Santi Romano) il governo ha preteso la scelta discrezionale del presidente. Per 90 anni si è nominato automaticamente il più anziano presidente di sezione, non per riflesso burocratico ma per l’articolo 108 della Costituzione: “La legge assicura l’indipendenza dei giudici”. Il Consiglio di Stato giudica anche la legittimità degli atti del governo, immaginate con quale indipendenza lo farà con un presidente scelto dal governo. Lo sfregio istituzionale ha scatenato l’indignazione di molti tra gli stessi consiglieri di Stato. E Stefano Baccarini, a cui sarebbe spettata la nomina, se n’è andato sbattendo la porta, non prima di lasciare ai suoi colleghi un’indignata lettera di saluto.
MA IL BELLO VIENE ADESSO. Il presidente della sesta sezione Sergio Santoro ha fatto ricorso al Tar contro la nomina di Pajno e quella, pure arbitraria, del presidente aggiunto Filippo Patroni Griffi: sostiene di aver subito un’ingiustizia da atti illegittimi del governo e del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (Cpga, il Csm dei magistrati di Tar e Consiglio di Stato). Il 26 aprile scorso il Tar ha dichiarato il ricorso “irricevibile”. Due settimane fa l’avvocato amministrativista Federico Tedeschini, per conto di Santoro, ha impugnato la sentenza del Tar davanti al Consiglio di Stato. Ed è partito il Palio dei giudici amministrativi. Tedeschini chiede l’annullamento della sentenza perché due dei tre giudici che l’hanno emessa, Roberto Caponigro e Silvia Martino, mentre studiavano lo spinoso caso che riguarda la suddetta Cpga, sono stati nominati dalla medesima Cpga consiglieri di Stato, e subito dopo la nomina, ottenuta dalla Cpga, hanno dato ragione alla Cpga. Il punto tecnico sollevato da Tedeschini è che i due hanno firmato la sentenza senza essere più giudici del Tar. Il punto meno tecnico che solleverebbe un ignorante sarebbe un altro, non degno dei valorosi giurisperiti in campo.
La regola non scritta (si nomina automaticamente presidente del Consiglio di Stato il presidente di sezione più anziano), serve anche a evitare il contenzioso, perché parliamo dell’unica amministrazione che giudica su se stessa. Invece i virtuosi delle nomine astute hanno messo in cartellone il teatro dell’assurdo: la quinta sezione del Consiglio di Stato deve valutare il ricorso del presidente della sesta sezione contro la nomina del presidente del Consiglio di Stato e contro due consiglieri di Stato nominati mentre da giudici del Tar emettevano una sentenza su chi li stava promuovendo. Nessuno può dire come usciranno da questo casino. Per fortuna, come dice lo statista Renzi, l’Italia ha la bellezza.
Twitter@giorgiomeletti