Profughi, sognando Zagabria bloccati nella nuova “giungla”
Rotta balcanica Come Calais, la cittadina serba di Sid è un vicolo cieco. Pachistani e afghani sopravvivono senza acqua e luce: la Croazia è a 30 minuti di cammino
Quando la luce del tramonto cancella le ombre, comincia la giornata. In centinaia si mettono in coda per una ciotola di zuppa. Per molti l’unico pasto quotidiano. Sono almeno 500, in maggioranza afgani e pachistani, vivono accampati nei boschi a ridosso del confine. Una vecchia officina in disuso è stata trasformata nel loro campo base. La Croazia dista una mezz’ora di cammino e appena fa buio si mettono in marcia. La meta è Zagabria, oltre 300 chilometri.
“Ci ho provato quasi venti volte”. Wahid, 25 anni, afgano racconta mentre riempie lo zaino: “Il mese scorso ce l’avevo quasi fatta. Abbiamo camminato per quattro giorni, ero con altre cinque persone. I cellulari si sono scaricati e abbiamo perso l’orientamento, non sapevamo più dove andare”.
Se ti trova la polizia sono botte
La polizia croata li ha sorpresi in un campo poco lontano dalla capitale. “Ci hanno picchiato: bastoni, pietre, manganelli. Saranno stati pochi minuti, ma sono sembrate delle ore”. Wahid parla con gli occhi sbarrati e intanto con le mani si tasta le gambe. Subito sotto il ginocchio c’è una benda. Un taglio profondo medicato solo giorni dopo da un due volontari austriaci. La ferita lo ha rallentato, ma non si è arreso. Stasera riparte. Le possibilità di attraversare tutta la Croazia sono poche “ma non posso tornare in Afghanistan, nell’area del mio villaggio ha vissuto Bin Laden. Tra al-Qaeda e i militari della coalizione la vita è impossibile”
I rovi coprono buona parte d el l ’ edificio abbandonato, non c’è acqua né corrente elettrica. I migranti che cercano rifugio qui la chiamano ‘ gi ungla’. Non sanno che a Calais ce n’era già una e che è stata sgomberata lo scorso ottobre. Sid come Calais è un vicolo cieco. La rotta balcanica è chiusa, almeno per le famiglie. Ma i ragazzi che viaggiano soli, e che più possono sopportare, continuano ad attraversare i confini. Dalla Turchia alla Bulgaria e da lì in Serbia. Il punto di raccolta per tutto l’inverno è stato Belgrado, anche lì magazzini abbandonati, dietro la stazione ferroviaria. A maggio il governo ha fatto sgomberare l’occupazione, dove in quel momento vivevano quasi 1500 profughi. Con i mesi il posto, oltre che insalubre, era diventato una sorta di stazione dei taxi per i trafficanti. I migranti che non avevano i soldi per pagare i pa ss eu r erano invogliati a trovarli. Prostituzione minorile e spaccio: le due principali alternative per recuperare i 5-600 euro necessari per il viaggio da Belgrado a Zaga- bria. L’ex primo ministro serbo (già portavoce di Milosevic) Aleksandar Vucic ha fatto finta di non vedere durante i mesi più freddi, poi lo sgombero. Le baracche sono state demolite e i terreni ceduti a un fondo degli Emirati Arabi. Verrà costruito Eagle Hillsun quartiere di residenze di lusso sulle rive del Sava.
La snervante attesa di 7.000 migranti
Con lo sgombero diverse centinaia di migranti, principalmente minorenni, sono stati accolti in campi profughi: centri d’a cc ogl ie nz a, che in tutto il paese ospitano circa 7.000 richiedenti asilo. Come il centro di Bogovadha, un’ex colonia estiva costruita negli anni ’70. Il campo è immerso tra gli alberi con attività quotidiane per i tanti bambini e un laboratorio di cucito per le madri, tra cui c’è Farhan, 17 anni, afgana: “Ho conosciuto mio marito nel viaggio verso l’Europa, mia figlia è nata poco prima che lasciassimo l’Iran per la Turchia, mentre Mohamed l’ho partorito in una foresta tra la Grecia e la Macedonia”. Per Farhan non c’è altra soluzione che aspetta- re, ci vorranno mesi o forse anni perché la Serbia e l’Ungheria sbrighino le procedure per farla entrare nell’Unione Europea. Intanto lei crescerà i suoi figli e diventerà maggiorenne. Ma per i suoi coetanei, a cui il viaggio verso l’Europa non ha regalato una prole, a Bogovadha non c’è nulla da fare, non prende neanche il cellulare. Per loro continua la corsa illegale verso l’UE. Tre i paesi confinanti a nord della Serbia: la Romania considerata fuori strada per Germania e Francia, l’Ungheria protetta con un muro e la Croazia. Così Sid, cittadina di confine ancora segnata dai conflitti degli anni ’90, ha visto trasformarsi dei vecchi depositi vuoti nella nuova giungla.
Parcheggiata sulla banchina della statale, poco lontano dalla fabbrica abbandonata, una macchina della polizia con il motore che brontola. Dentro ci sono due agenti. Osservano, forse contano i migranti, ma mai interagiscono con loro. Non ne limitano la circolazione e se li scorgono mentre salgono di soppiatto su un treno si voltano dall’altro lato. La Serbia, per bocca del neoeletto presidente Aleksandar Vucic (lo stesso che da primo ministro ha fatto sgomberare le baracche di Belgrado) non intende farsi carico di quei migranti che l’Europa non lascia entrare. L’intenzione è più che prevedibile: farli defluire, lentamente, lasciando che Bruxelles si accorga e si indigni per le violenze perpetrate dalle autorità croate e non dalla mancata accoglienza serba.
Twitter @cosimocaridi
FARHAN, 17 ANNI
In fuga ho conosciuto mio marito: mia figlia è nata in Iran, Mohamed l’ho partorito tra Grecia e Macedonia in una foresta
WAHID, 25 ANNI
Ci ho provato quasi venti volte, il mese scorso era quasi fatta Ma abbiamo perso l’orientamento e la pattuglia ci ha fermati