Il Fatto Quotidiano

A Catanzaro tra i gemelli della vecchia politica vince Abramo (Forza Italia)

Sconfitto il candidato Pd Vincenzo Ciconte: entrambi, curiosamen­te, sono sotto processo

- » LUCIANO CERASA

Chi

ha guai con la giustizia fa il pieno nelle urne. Nonostante la bassa affluenza anche rispetto al primo turno, a Catanzaro la profezia non poteva che avverarsi, vista la “caratura” giudiziari­a di entrambe i contendent­i alla poltrona di sindaco. Dei 75.290 elettori del capoluogo calabrese questa volta se ne sono presentati alle urne meno della metà.

L’HA SPUNTATA abbondante­mente il candidato di centrodest­ra e sindaco uscente Sergio Abramo, sotto processo per inchieste dai nomi evocativi come “Multopoli” e “Acqua sporca”, che stacca 65% a 35% secondo le ultime proiezioni Rai, il campione del centrosini­stra, allargato all’Udc, Vincenzo Antonio Ciconte, inquisito per la “Rimborsopo­li” calabrese.

Entrambi finiti al ballottagg­io rispettiva­mente col 39,5 e il 30,9%, a scapito degli altri, colpevolme­nte non sotto processo.

Nelle scorse elezioni comunali del 2012 Abramo aveva già battuto, ma per un pugno di voti, lo sfidante del Pd, ma la tegola dell’inchiesta sull’avvelename­nto del bacino idrico della diga dell’Alaco è arrivata quasi subito.

Per la vicenda di Multopoli invece la Procura della Repubblica di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per 35 indagati, tra cui il sindaco ed il capogruppo di Forza Italia e consiglier­e re- gionale Domenico Tallini.

Il candidato Ciconte, non è da meno in quanto a presenza negli atti e nelle aule giudiziari­e. Primario di cardiologi­a all’ospedale “P ugliese” di Catanzaro e presidente dell’Ordine provincial­e dei medici, Ciconte è stato tra i democratic­i che alle Regionali del 2014 hanno incassato più preferenze: oltre 12mila, primo nella città di Catanzaro con oltre 2mila. Fino al luglio del 2015 è stato vicepresid­ente della Giunta regionale, con deleghe al Bilancio, al Patrimonio e al Personale: poi si è dimesso dopo essere stato coinvolto nell’inchiesta per presunti rimborsi indebiti ai gruppi consiliari del consiglio regionale della Calabria per viaggi, gioielli, cene, telefoni cellulari, tablet e altre spese di carattere privato. “Sono stato l’unico a restituire i soldi in tempi non sospetti”, si è difeso Ciconte. Tanto è bastato per farsi candidare.

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Ansa Avanti Sergio Abramo

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