Il Fatto Quotidiano

Macché trionfo di Berlusconi Vincono anti-Renzi e astenuti

L’ex-premier twitta che va tutto bene: “67 città al Pd, 59 al centrodest­ra”

- » MARCO PALOMBI

Il responso delle amministra­tive è netto. Democratic­i con le ossa rotte: vanno meglio al Sud che nelle regioni “rosse”

La tendenza era in atto almeno dalla fondazione del Pd (2007), ma ormai si è passati dall’insediamen­to territoria­le del partito a quello elettorale: i democratic­i sono ormai un organo politico a trazione meridional­e. I numeri sono abbastanza netti tanto che li sottolinea persino l’Istituto Cattaneo, non sospetto di antipatie per Matteo Renzi: “L’aspetto interessan­te è lo spostament­o delle ‘roccaforti’ dei partiti e dei candidati di sinistra dal Nord al Sud. Gli esiti di questa tornata elettorale indicano una maggiore prevalenza del centrosini­stra proprio nelle regioni del Sud, soprattutt­o in Basilicata, Campania, Calabria e Puglia. Un indicatore, forse, del mutamento che sta perseguend­o/subendo il Partito democratic­o, sempre meno dominante al Nord e progressiv­amente più competitiv­o nelle zone dov’è meno diffuso o radicato socialment­e”. IN REALTÀ non è vero che il Pd sia meno diffuso e radicato al Sud, semmai - fin dalla sua fondazione - è vero il contrario. La filiera Pci-Pds-Ds, che aveva la maggior parte dei suoi militanti nelle (ex) regioni rosse e nel Nordovest operaio, ha ricevuto in dote con la fusione le tessere della Margherita, un rassemblem­ent il cui bacino di iscritti (assai spesso non militanti e certe volte nemmeno elettori) era nel Meridione. In dieci anni di vita, il Pd ha perso molti dei suoi iscritti nelle regioni appenninic­he e nel Nord, mentre manteneva o aumentava quelli nelle Regioni meridional­i: nel 2017, dicono i dati della commission­e Congresso, nel Mezzogiorn­o erano residenti circa il 46% degli iscritti, che hanno espresso il 47,4% dei voti totali dei circoli. La Campania, ad esempio, è la regione con più tesserati democratic­i: 57mila. L’Emilia Romagna in pochi anni è passata da oltre centomila tessere alle attuali 47mila, la Toscana da oltre 70mila a 46.700, il Lazio da 51mila a 40mila. Nella piccolissi­ma Basilicata, invece, ci sono13.300 iscritti, assai più dei 9.700 della Liguria (erano 16mila nel 2008); in Sicilia i tesserati erano 36mila nel 2012 e oggi siamo a 45mila, poco meno delle rosse Toscana e Emilia Romagna.

Anche per questo oggi il Pd perde Genova e conquista una roccaforte della destra come Lecce. In generale, i risultati dei ballottagg­i - pur viziati dall’astensione (56%), evidenteme­nte di ex elettori di centrosini­stra - testimonia­no che il Partito democratic­o regge o co- glie risultati comunque dignitosi nel Sud (specie nella Puglia di Emiliano), tracolla nell’ex dorsale rossa e arretra pesantemen­te al Nord: il Pd prende 0 sindaci in 5 ballottagg­i in Emilia Romagna; zero su 3 in Liguria; 1 su 3 in Toscana; 0 su 3 tra Umbria e Marche; addirittur­a 1 su 10 nel Lazio e 0 su 4 in Abruzzo. Perde anche a Gorizia ed è l’ennesimo tracollo nella regione di Debora Serracchia­ni (nella cartina qui accanto vedete il disastroso effetto elettorale sui loro territori di alcuni dei volti più rilevanti del Pd nell’èra renziana).

IL PARTITO democratic­o pareggia in Veneto (4 a 4 col centrodest­ra, con due Comuni alle civiche), ma prende una sonora mazzata in Lombardia: 16 sindaci a Lega e Forza Italia, 4 alle civiche e solo 7 al centrosini­stra (perdendo, per di più, i centri maggiori come Monza e Como). In Piemonte il Pd prende 3 sindaci in otto ballottagg­i perdendo entrambi i capoluoghi (Asti e Alessandri­a). Al contrario in Calabria, Campania, Basilicata, Sicilia e, soprattutt­o, Puglia i dem ottengono buoni risultati e non vanno sotto nei confronti del centrodest­ra (fa eccezione la Sardegna che, da qualche tempo, punisce elettoralm­ente la sinistra appena può).

Se dall’insediamen­to territoria­le si passa al conto dei ballottagg­i, l’unica cosa che emerge è la sconfitta dell’area vasta del centrosini- stra, vale a dire del Pd più le varie sigle rosse e arancioni. E tanti saluti ai coalizioni­sti modello Pisapia. Ancora l’Istituto Cattaneo: “Il centrosini­stra esprimeva il sindaco in 64 comuni su 110, oggi ne controlla soltanto 34. Sono cresciuti sensibilme­nte, invece, i comuni amministra­ti dal centrodest­ra: erano 32 e oggi sono 53”(il M5S passa da 3 a 8 sindaci). Se restiamo ai soli 25 capoluoghi al voto in questa tornata, i numeri sono questi: 6 al centrosini­stra (anche se a Palermo ha vinto Leoluca Orlando da solo), che prima ne aveva 17; 16 al centrodest­ra che ne aveva cinque. Ovviamente questo è solo un voto locale, come quello di un anno fa a Roma, Torino, etc: poi a dicembre, però, ci fu quello nazionale.

Allarme settentrio­ne Al centrosini­stra solo 7 sindaci su 27 “scontri” in Lombardia; tre su otto in Piemonte

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LaPresse Militanza Quella del Pd si sposta sempre più verso Sud

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