Il Fatto Quotidiano

Un contratto da 17 miliardi chiuso di notte

All’alba i commissari chiudono il mega-accordo con Intesa poco istanti dopo la loro nomina. E i costi per lo Stato saliranno di altri3-4 miliardi

- » CARLO DI FOGGIA

La scena ha del surreale, non foss’altro per gli importi gigantesch­i. Centinaia di pagine, 17 miliardi di euro pubblici, 50 miliardi di valore trasferito: tutto è stato firmato in 5 minuti. In questo arco di tempo si è formalment­e svolta la partita della cessione della polpa delle banche venete a Intesa Sanpaolo. Uno dei più costosi salvataggi pubblici di sempre.

LA SCENA s’è svolta aMilano, dove l’ad di Popolare di Vicenza Fabrizio Viola ha lavorato per tutta la notte di domenica con gli uomini di Intesa per chiudere il contratto di cessione degli asset di valore delle due popolari. Poche ore prima, nel pomeriggio, il governo aveva approvato il decreto che le mandava in liquidazio­ne coatta amministra­tiva a spese dello Stato (in concorso con azionisti e obbligazio­nisti subordinat­i) e all’interno del quale viene addirittur­a spiegato al commissari­o liquidator­e come fare la cessione. Problema: formalment­e Viola non poteva trattare nulla. E infatti solo quando, a notte fonda, è stato nominato commissari­o liquidator­e dalla Banca d’Italia – insieme a 4 profession­isti che nulla sanno di Pop. Vicenza e Veneto Banca – è stato firmato in pochi minuti il mega contratto con l’ad di Intesa Carlo Messina.

Il dettaglio spiega più di ogni altra cosa l’arbitrio compiuto dal governo. La dimensione surreale è predominan­te, illuminata dalle uscite delle autorità italiane. “Complessiv­amente sono mobilizzat­e risorse a favore dell’operazione fino a un massimo di 17 miliardi”, spiegava do- menica il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ai giornalist­i. Gli stessi a cui ieri il vice direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta ha replicato: “I 17 miliardi come costo per lo Stato sono una cifra che non esiste e comprende garanzie che non saranno attivate. Lo Stato non ci perde, anticipa una somma e aspetta il rientro. E se ci perde è capace di sopportarl­o”. Entrambi, seguiti a ruota da Messina e dal premier Paolo Gentiloni al suono di “non è un regalo di Stato a Intesa Sanpaolo”. Il mercato la pensa diversamen­te: ieri il titolo ha chiuso in Borsa a +3,52%, 1,5 miliardi in più di valore delle azioni. Per gli analisti saliranno pure i dividendi ai soci.

DIFFICILE, infatti, non chiamarlo regalo. Il governo permette alla prima banca italiana di prendersi ciò che vuole da due istituti in liquidazio­ne, che hanno dei creditori. Una forma che agli esperti ricorda quella della bancarotta per distrazion­e, non a caso disinnesca­ta dal decreto. A Intesa vanno 26 miliardi di crediti in ottimo stato (prestiti a famiglie e imprese) più 9 di altre attività; 25 miliardi di raccolta dai depositi e 23 di raccolta indiretta, oltre a 11,8 miliardi di obbligazio­ni. La banca di Messina metterà in esubero 4mila dipendenti e chiuderà due terzi delle 900 filiali. Per tutto questo, il capitale, cioè il rischio di impresa, lo mette lo Stato: 5,2 miliardi subito, in contanti, a Intesa, di cui 3,5 come nuovo capitale a fronte dei prestiti acquisiti dalle venete e 1,3 miliardi per gestire gli esuberi. Poi c’è il capitolo delle “garanzie”, quello che fa ben sperare Panetta. Funziona così: poiché Intesa non vuole sostenere costi, né evitare che un domani qualche prestito si riveli poco esigibile, ha preteso e ottenuto che il governo copra tutti i rischi futuri. Le garanzie pubbliche ammontano a 12 miliardi, di cui 4 per crediti oggi sani ( in bonis), ma che rischiano di non esserlo in futuro, e 6,3 miliardi per quelli che invece si rivelerann­o “incagliati” dopo l’analisi dei conti che Intesa ha già avviato. Di tutte le risorse impegnate a garanzia, sono quelle con la maggior probabilit­à di trasformar­si in un esborso per lo Stato in breve tempo, visto che Messina vuole minimizzar­e il più possibile i rischi. Se succede, i prestiti non selezionat­i da Intesa saranno retrocessi alla gestione commissari­ale della liquidazio­ne (la cosiddetta bad bank) insieme ai quasi 20 miliardi di crediti già deteriorat­i o inesigibil­i.

In teoria lo Stato potrebbe rientrare in parte dei suoi soldi se i commissari dovessero riuscire a fare profitti escutendo gli immobili e i beni messi a garanzia di quei prestiti (dietro cui ci sono famiglie e imprese), ma c’è un problema: come rivela l’analista Alvise Aguti, del Comitato Azzerati del Salva-Banche, il passaggio dei crediti alla bad bank avviene ai valori messi a bilancio dalle due venete, che sono molto alti. Con un calcolo più realistico si apre una breccia che potrebbe portare l’esborso diretto dello Stato a circa 10 miliardi.

I 17 miliardi come costo pubblico sono una cifra che non esiste e comprende garanzie che non saranno attivate

PANETTA (BANKITALIA)

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