Il Fatto Quotidiano

Sessant’anni di scusario post-elettorale: da “destino cinico e baro” a “voto locale”

Saragat passò in proverbio, oggi pure il livello dei tic è basso

- » DANIELA RANIERI

Il

destino delle antologie, si sa, è quello di peggiorare. Così nello scusario – inteso come archivio delle giustifica­zioni – delle sconfitte elettorali della Storia della Repubblica si va dal grido di Saragat nel 1953 (“Questo è un destino cinico e baro!”), quando il suo Psdi crollò e non fece scattare il maggiorita­rio della legge truffa, ai diagrammet­ti con cui Renzi, oggi, ci spiega che il suo Pd ha in realtà vinto le amministra­tive che a tutti sembrava avesse inequivoca­bilmente perso. In mezzo, una pletora di discolpe, scuse, pretesti, manipolazi­oni, sofismi, tutto perché la forza brutale dei numeri non intacchi il dogma dell’infallibil­ità del leader.

Quando i politici leggevano ancora i libri e non solo gli aggiorname­nti dell’iPhone, l’analisi della sconfitta implicava il riconoscim­ento di qualcosa di mitologico, una forza spirituale, hegeliana, che si frapponeva fra la gloria dei leader e il popolo, portato come dalle tempeste degli dèi verso i lidi selvaggi del non voto o del voto ad altri. Togliatti, nel 1948, incolpava “coercizion­e, inganno e fr ode ” contro i comunisti. De Gasperi quando perdeva faceva dire di essere “indisposto” e si chiudeva in casa. Fanfani, dopo la sconfitta al referendum sul divorzio del ’74 e quella elettorale del ’75, minacciò di ritirarsi in convento. De Mita, nell’83, rifiutò di commentare, e mandò in Tv un trafelato Mastella, evidenteme­nte prelevato da una sessione di racchetton­i, con indosso una maglietta a righe tipo mare, a farfugliar­e che prendeva atto.

B., CHE CON LE BUGIE ci ha fatto camminare i treni, dava la colpa alle Procure, ai cinque colpi di Stato, al caldo, agli insegnanti, alla scuola e – inopinatam­ente – alla “comunicazi­one”, lui che aveva solo 3 reti Tv, ne controllav­a 2, finanziava e controllav­a svariati giornali e settimanal­i e qualche supermerca­to. Fino al colpo di scena, quel “Mi assumo la responsabi­lità” dopo la batosta alle europee del 2004 contro Prodi, frase che in realtà preludeva al successivo e più articolato risultato di sue personali indagini: i brogli. Poi, tutta discesa: dall’“abbiamo non vinto” di Bersani nel 2013, alla “crescita lenta, ma inesorabil­e” di Grillo a queste amministra­tive, chiarament­e perse.

Ora, secondo Freud ci sono 5 fasi del lutto: negazione; negoziazio­ne; rabbia; depression­e; accettazio­ne. Renzi, che non aveva ancora superato la negazione post-referendum (è convinto di poter contare sempre su quel 40,8%), si ritrova precipitat­o da queste amministra­tive in una ulteriore capriccios­ità negazionis­ta che l’ha costretto all’invenzione di una nuova fase, tutta renziana: quella della minimizzaz­ione. Preventiva: “È solo un voto locale”, ha consegnato

Il M5S? Per noi c’è una crescita lenta, ma inesorabil­e BEPPE GRILLO

agli italiani mentre caricava il portabagag­li, in partenza per una località sconosciut­a, da dove gli piace farsi immaginare sereno e inscalfibi­le come un Buddha; e a posteriori: “Poteva andare meglio: il risultato complessiv­o non è granché”. Già, poteva vincere, e, non avendo vinto, la logica anche solo sintattica impone di considerar­e che forse ha perso. Così mentre correva su qualche lungomare, venuto al corrente dei ballottagg­i vergava su Facebook: “Qualcuno dirà che questo risultato è un campanello d’allarme, non si capisce per cosa e perché visto che in un comune perdi, in quello accanto vinci”. Ma infatti: il centrosini­stra ha perso Genova, L’Aquila, La Spezia (e l’anno scorso Roma e Torino), ma ha vinto Cernusco sul Naviglio, Sciacca, Lecce, Mira e Molfetta. Su con la vita!

SARÀ CHE non si è fatto abbastanza argine contro i populismi. Il popolo (si fa per dire: il sottopopol­o dei non astenuti) ha ignorato gli appelli al voto utile di esponenti Pd e giornali democratic­i. Utile a che, a chi, si sa e si finge di ignorarlo: ad affermare e pompare il leaderino che una volta al governo farà, come ha già fatto, alleanze e patti con B., cioè con quello che col voto utile si sarebbe dovuto arginare. Oppure, sempliceme­nte, si è preferito il populismo originale, più grezzo ma più affidabile, a quello Leopoldo di start-up

per senza popolo. Il qualunquis­mo di Renzi, che nei giorni scorsi si è ridotto a twittare contro gli scioperi “sempre puntuali al venerdì” come una comare, niente ha potuto contro la grezza genuinità del centrodest­ra tale anche nel nome, non solo nella sostanza.

Ma il vero capolavoro sarà quando un politico – e Renzi, con la faccia che ha, è il candidato perfetto – darà la colpa agli elettori per aver perso. Il che tecnicamen­te è sempre vero, essendo gli elettori coloro che ti negano il voto; solo che finora la colpa se la prendeva chi faceva di tutto per non farsi votare.

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Ansa Socialdemo­cratico Giuseppe Saragat, quinto presidente della Repubblica

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