Sessant’anni di scusario post-elettorale: da “destino cinico e baro” a “voto locale”
Saragat passò in proverbio, oggi pure il livello dei tic è basso
Il
destino delle antologie, si sa, è quello di peggiorare. Così nello scusario – inteso come archivio delle giustificazioni – delle sconfitte elettorali della Storia della Repubblica si va dal grido di Saragat nel 1953 (“Questo è un destino cinico e baro!”), quando il suo Psdi crollò e non fece scattare il maggioritario della legge truffa, ai diagrammetti con cui Renzi, oggi, ci spiega che il suo Pd ha in realtà vinto le amministrative che a tutti sembrava avesse inequivocabilmente perso. In mezzo, una pletora di discolpe, scuse, pretesti, manipolazioni, sofismi, tutto perché la forza brutale dei numeri non intacchi il dogma dell’infallibilità del leader.
Quando i politici leggevano ancora i libri e non solo gli aggiornamenti dell’iPhone, l’analisi della sconfitta implicava il riconoscimento di qualcosa di mitologico, una forza spirituale, hegeliana, che si frapponeva fra la gloria dei leader e il popolo, portato come dalle tempeste degli dèi verso i lidi selvaggi del non voto o del voto ad altri. Togliatti, nel 1948, incolpava “coercizione, inganno e fr ode ” contro i comunisti. De Gasperi quando perdeva faceva dire di essere “indisposto” e si chiudeva in casa. Fanfani, dopo la sconfitta al referendum sul divorzio del ’74 e quella elettorale del ’75, minacciò di ritirarsi in convento. De Mita, nell’83, rifiutò di commentare, e mandò in Tv un trafelato Mastella, evidentemente prelevato da una sessione di racchettoni, con indosso una maglietta a righe tipo mare, a farfugliare che prendeva atto.
B., CHE CON LE BUGIE ci ha fatto camminare i treni, dava la colpa alle Procure, ai cinque colpi di Stato, al caldo, agli insegnanti, alla scuola e – inopinatamente – alla “comunicazione”, lui che aveva solo 3 reti Tv, ne controllava 2, finanziava e controllava svariati giornali e settimanali e qualche supermercato. Fino al colpo di scena, quel “Mi assumo la responsabilità” dopo la batosta alle europee del 2004 contro Prodi, frase che in realtà preludeva al successivo e più articolato risultato di sue personali indagini: i brogli. Poi, tutta discesa: dall’“abbiamo non vinto” di Bersani nel 2013, alla “crescita lenta, ma inesorabile” di Grillo a queste amministrative, chiaramente perse.
Ora, secondo Freud ci sono 5 fasi del lutto: negazione; negoziazione; rabbia; depressione; accettazione. Renzi, che non aveva ancora superato la negazione post-referendum (è convinto di poter contare sempre su quel 40,8%), si ritrova precipitato da queste amministrative in una ulteriore capricciosità negazionista che l’ha costretto all’invenzione di una nuova fase, tutta renziana: quella della minimizzazione. Preventiva: “È solo un voto locale”, ha consegnato
Il M5S? Per noi c’è una crescita lenta, ma inesorabile BEPPE GRILLO
agli italiani mentre caricava il portabagagli, in partenza per una località sconosciuta, da dove gli piace farsi immaginare sereno e inscalfibile come un Buddha; e a posteriori: “Poteva andare meglio: il risultato complessivo non è granché”. Già, poteva vincere, e, non avendo vinto, la logica anche solo sintattica impone di considerare che forse ha perso. Così mentre correva su qualche lungomare, venuto al corrente dei ballottaggi vergava su Facebook: “Qualcuno dirà che questo risultato è un campanello d’allarme, non si capisce per cosa e perché visto che in un comune perdi, in quello accanto vinci”. Ma infatti: il centrosinistra ha perso Genova, L’Aquila, La Spezia (e l’anno scorso Roma e Torino), ma ha vinto Cernusco sul Naviglio, Sciacca, Lecce, Mira e Molfetta. Su con la vita!
SARÀ CHE non si è fatto abbastanza argine contro i populismi. Il popolo (si fa per dire: il sottopopolo dei non astenuti) ha ignorato gli appelli al voto utile di esponenti Pd e giornali democratici. Utile a che, a chi, si sa e si finge di ignorarlo: ad affermare e pompare il leaderino che una volta al governo farà, come ha già fatto, alleanze e patti con B., cioè con quello che col voto utile si sarebbe dovuto arginare. Oppure, semplicemente, si è preferito il populismo originale, più grezzo ma più affidabile, a quello Leopoldo di start-up
per senza popolo. Il qualunquismo di Renzi, che nei giorni scorsi si è ridotto a twittare contro gli scioperi “sempre puntuali al venerdì” come una comare, niente ha potuto contro la grezza genuinità del centrodestra tale anche nel nome, non solo nella sostanza.
Ma il vero capolavoro sarà quando un politico – e Renzi, con la faccia che ha, è il candidato perfetto – darà la colpa agli elettori per aver perso. Il che tecnicamente è sempre vero, essendo gli elettori coloro che ti negano il voto; solo che finora la colpa se la prendeva chi faceva di tutto per non farsi votare.