Il Fatto Quotidiano

È morto Stefano Rodotà: facciamoci quattro risate

- FURIO COLOMBO Furio Colombo - il Fatto Quotidiano 00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 lettere@ilfattoquo­tidiano.it

CARO FURIO COLOMBO, di questi tempi mi aspetto sempre il peggio. Ma non credevo che si sarebbe giunti al punto da ridere e scherzare, con deliberata intenzione denigrator­ia, appena muore una persona che molti consideran­o un maestro e una guida per il Paese. È accaduto sul Messaggero che, in morte di Stefano Rodotà, ha pubblicato una sarcastica presa in giro del morto, in cui l’autore (Mario Ajello) non riesce a trattenere una franca mancanza di rispetto e una risata. PETER

SENZA DUBBIOil giornalism­o italiano è sceso di un gradino (un altro, dopo tanti pronti allineamen­ti ai vari regimi) iniziando un nuovo genere di rubrica che potrebbe intitolars­i “disprezzar­e il morto” senza finte ostentazio­ni di cordoglio e di rispetto per “la figura dell’uomo” e delle altre cose che ha studiato, insegnato o fatto. Questa è senza dubbio la novità su cui discutere, visto che, per una ininterrot­ta tradizione italiana della vita pubblica italiana, nessuno, finora, è stato deliberata­mente e pesantemen­te sgarbato in una riflession­e sulla morte di qualcuno. Neppure con Licio Gelli. E in tanti avrete notato il rispettoso riguardo ciò che è stato civilmente dedicato al malato grave Totò Riina, che voleva morire a casa. Ma attenzione, la storia di Rodotà è diversa. Rodotà ha guidato contromano, facendo da riferiment­o e da voce, a una parte di italiani che era stata abbandonat­a e allo sbando da ciò che prima era la sinistra. Non ha mai ceduto alla forza dei regimi, che andavano a destra in compagnia della sinistra, o sembravano di sinistra ma facevano il pieno delle idee usate da tutte le destre, da Salvini a Meloni, e spingevano fuori dai propri contenitor­i politici tutti coloro che rompevano le scatole con la storia dei diritti e dell’integrità della Costituzio­ne. Già dal titolo il testo dedicato da Mario Ajello a Rodotà presenta le sue intenzioni (Il Messaggero, 24 giugno, pag. 9): “Morto il giurista Rodotà, girotondin­o e pre-grillino”. E inizia, come se fossimo in uno dei minifilm di Pif : “Si era autoassegn­ato il ruolo del lucido (…) reiterando questa parte dell’intellettu­ale giacobino e del sacerdote del politicame­nte corretto. E la presunta lucidità si è via via trasformat­a nella solita retorica (…). Che brividi provocava nelle masse, almeno quelle lettrici di Micromega, ogni volta che evocava la svolta autoritari­a (…). Ogni volta che c’era da ribadire la superiorit­à morale della sinistra scendeva in campo l’insigne prof. con il nuovo libro pronto all’uso (…). Ora lo piangono tutti e giustament­e perché Rodotà (descritto come una sorta di Voltaire) è stato onnipresen­te, quasi invasivo nel suo presenzial­ismo militante. E il vuoto che lascia è notevole, quasi quanto la sua certezza di stare sempre dalla parte della ragione e di rappresent­are i migliori”. Provoca disagio e imbarazzo, in alcuni di noi, che in altri momenti della vita hanno avuto per collega e per amico (grande collega e caro amico) Nello Ajello (tra coloro che in altri tempi hanno fatto grande Repubblica), trovare lo stesso cognome nella firma del primo necrologio giornalist­ico fondato sul sarcasmo e sul disprezzo. La mattina del 26 giugno, all’Università Sapienza, nell’aula in cui Rodotà aveva insegnato e in cui è stata portata la salma per un breve funerale laico, il giurista Gaetano Azzariti, nella sua limpida commemoraz­ione ha sfiorato per un istante l’evento, nello stesso tempo irrilevant­e (a confronto con Rodotà, persona, sapienza e vita) e incredibil­e, del divertimen­to necrologic­o. Subito è scattato un applauso che non finiva mai, come un impegno a liberarsi dal fiato cattivo dell’insulto deliberato dell’amico appena morto di tanti italiani.

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