È morto Stefano Rodotà: facciamoci quattro risate
CARO FURIO COLOMBO, di questi tempi mi aspetto sempre il peggio. Ma non credevo che si sarebbe giunti al punto da ridere e scherzare, con deliberata intenzione denigratoria, appena muore una persona che molti considerano un maestro e una guida per il Paese. È accaduto sul Messaggero che, in morte di Stefano Rodotà, ha pubblicato una sarcastica presa in giro del morto, in cui l’autore (Mario Ajello) non riesce a trattenere una franca mancanza di rispetto e una risata. PETER
SENZA DUBBIOil giornalismo italiano è sceso di un gradino (un altro, dopo tanti pronti allineamenti ai vari regimi) iniziando un nuovo genere di rubrica che potrebbe intitolarsi “disprezzare il morto” senza finte ostentazioni di cordoglio e di rispetto per “la figura dell’uomo” e delle altre cose che ha studiato, insegnato o fatto. Questa è senza dubbio la novità su cui discutere, visto che, per una ininterrotta tradizione italiana della vita pubblica italiana, nessuno, finora, è stato deliberatamente e pesantemente sgarbato in una riflessione sulla morte di qualcuno. Neppure con Licio Gelli. E in tanti avrete notato il rispettoso riguardo ciò che è stato civilmente dedicato al malato grave Totò Riina, che voleva morire a casa. Ma attenzione, la storia di Rodotà è diversa. Rodotà ha guidato contromano, facendo da riferimento e da voce, a una parte di italiani che era stata abbandonata e allo sbando da ciò che prima era la sinistra. Non ha mai ceduto alla forza dei regimi, che andavano a destra in compagnia della sinistra, o sembravano di sinistra ma facevano il pieno delle idee usate da tutte le destre, da Salvini a Meloni, e spingevano fuori dai propri contenitori politici tutti coloro che rompevano le scatole con la storia dei diritti e dell’integrità della Costituzione. Già dal titolo il testo dedicato da Mario Ajello a Rodotà presenta le sue intenzioni (Il Messaggero, 24 giugno, pag. 9): “Morto il giurista Rodotà, girotondino e pre-grillino”. E inizia, come se fossimo in uno dei minifilm di Pif : “Si era autoassegnato il ruolo del lucido (…) reiterando questa parte dell’intellettuale giacobino e del sacerdote del politicamente corretto. E la presunta lucidità si è via via trasformata nella solita retorica (…). Che brividi provocava nelle masse, almeno quelle lettrici di Micromega, ogni volta che evocava la svolta autoritaria (…). Ogni volta che c’era da ribadire la superiorità morale della sinistra scendeva in campo l’insigne prof. con il nuovo libro pronto all’uso (…). Ora lo piangono tutti e giustamente perché Rodotà (descritto come una sorta di Voltaire) è stato onnipresente, quasi invasivo nel suo presenzialismo militante. E il vuoto che lascia è notevole, quasi quanto la sua certezza di stare sempre dalla parte della ragione e di rappresentare i migliori”. Provoca disagio e imbarazzo, in alcuni di noi, che in altri momenti della vita hanno avuto per collega e per amico (grande collega e caro amico) Nello Ajello (tra coloro che in altri tempi hanno fatto grande Repubblica), trovare lo stesso cognome nella firma del primo necrologio giornalistico fondato sul sarcasmo e sul disprezzo. La mattina del 26 giugno, all’Università Sapienza, nell’aula in cui Rodotà aveva insegnato e in cui è stata portata la salma per un breve funerale laico, il giurista Gaetano Azzariti, nella sua limpida commemorazione ha sfiorato per un istante l’evento, nello stesso tempo irrilevante (a confronto con Rodotà, persona, sapienza e vita) e incredibile, del divertimento necrologico. Subito è scattato un applauso che non finiva mai, come un impegno a liberarsi dal fiato cattivo dell’insulto deliberato dell’amico appena morto di tanti italiani.