May e l’accordo-capestro per un governicchio inglese
Soldi e concessioni al partitino ultra-conservatore irlandese che sostiene la premier: l’intesa difficilmente reggerà a 2 anni di trattative sulla Brexit
Dopo una trattativa durissima lunga 18 giorni, Theresa May ieri ha firmato l’accordo di confidence and supply col Democratic Unionist Party nord-irlandese di Arlene Foster: il governo è salvo, ha 13 voti di maggioranza per superare lo scoglio dell’approvazione del “Discorso della Regina” e il bilancio. Per il resto si naviga a vista, ma intanto il premier guadagna tempo e può concentrarsi sulla vera impresa: la Brexit.
IN CAMBIO dell’appoggio esterno, garantito solo sui voti di fiducia e poco altro, gli Unionisti ottengono molto: un miliardo di finanziamenti aggiuntivi all’Irlanda del Nord in 2 anni, maggiore flessibilità di spesa su altri 500 milioni già stanziati, garanzie per i pensionati, regime fiscale favorevole per le aziende. Concessioni pesanti in cambio della sopravvivenza politica della May. Ma anche se concluso, l’accordo resta molto controverso. Il Dup è su posizioni molto conservatrici in materia di aborto e diritti civili: su questo è pronta a dare battaglia la leader dei Conservatori scozzesi Ruth Davidson, ma anche molti parlamentari Tories. Non è solo questione di principi, ma anche di vil denaro: Galles e Scozia contestano il trattamento preferenziale, col primo ministro gallese Carwyn Jones, laburista, che ha subito parlato di accordo inaccettabile, che “uccide l’idea di finanziamento equo alle diverse nazioni britanniche”.
C’è poi la questione del processo di pace nell’Irlanda del Nord: l’alleanza col Dup appare come una possibile violazione dell’impegno da parte del governo britannico ad agire con “rigorosa imparzialità” fra le parti in causa. Vedremo se la faccenda avrà una coda legale: di certo è percepito come un grave rischio politico non solo in Irlanda del Nord ma anche, fra gli altri, dai prestigiosi esponenti conservatori John Major e Lord Patten, entrambi coinvolti nei negoziati che hanno posto fine alla guerra civile. La Foster ha trionfato a Downing Street ma è a Belfast che l’aspettano le trattative più dure. Il 29 giugno infatti scade il termine per la formazione di un nuovo esecutivo: l’Irlanda del Nord è senza governo dal gennaio scorso, quando Martin McGuiness, vice primo ministro, leader storico di Sinn Fein ed ex membro dell’Ira, si dimise per protestare contro uno scandalo che coinvolge proprio Arlene Foster, allora primo ministro.
NEL 2012, da ministro del Commercio, la Foster aveva lanciato un programma di sussidi statali alla produzione di energia rinnovabile. Fra abusi e accuse di corruzione ancora da verificare, il costo per i contribuenti nord-irlandesi è già di 490 milioni di sterline in 20 anni. Da allora, Dup e Sinn Fein non sono riusciti a formare un nuovo esecutivo di unità nazionale, come previsto dagli accordi di pace. Nel marzo scorso sono andati a elezioni anticipate, dove il Sinn Fein è andato vicino alla maggioranza nel Parlamento nord-irlandese. Malgrado il voto, i due principali partiti non sono riusciti a trovare un accordo: Sinn Fein rifiuta la prospettiva di Arlene Foster come primo ministro finché non verrà chiarito il suo ruolo nello scandalo dei sussidi. Attribuendo al Dup un potere sproporzionato rispetto alla sua controparte, l’alleanza degli unionisti con il governo britannico complica ulteriormente equilibri già fragili.
La rabbia degli altri Gallesi e scozzesi criticano il favoritismo al Dup, che oltretutto è anti-aborto