Il Fatto Quotidiano

Consumo del suolo, quel cemento che c’è anche se non si vede

Il rapporto WwfLa frammentaz­ione del tessuto abitato rende impossibil­e rilevare con precisione l’auemento dell’urbanizzaz­ione

- » VIRGINIA DELLA SALA

Un territorio polverizza­to, l’urbanizzaz­ione che cresce a ridosso della aree naturalist­iche e di interesse comunitari­o, ma anche – pericolosa­mente – nelle zone sismiche. Insieme a una drastica riduzione delle aree agricole: benvenuti nel Paese del consumo del suolo, o della cementific­azione che dir si voglia, fotografat­o dal rapporto del Wwf Italia Caring for our soil e da un team di 27 tra Docenti universita­ri (Camerino, Firenze, L’Aquila, Roma Tre, Tuscia) ed esperti dell’Ispra e dell’Istat. Quasi trecento pagine che analizzano impietosam­ente e scientific­amente un problema di cui si parla troppo poco. E su cui c’è una legge bloccata in Senato. Si dovrebbe arrivare a un consumo del suolo pari a zero entro il 2050 e, invece, cresce al ritmo del 5 per cento annuo.

QUANTO CEMENTO. Il Fatto può anticipare un aspetto del rapporto, che sarà pubblicato oggi. Si parte dal censimento della superficie urbanizzat­a italiana: si stima che sia pari a oltre 2 milioni di ettari, il 7 per cento dell’Italia. Percentual­e che però sale al 10 se si tiene conto della rete stradale, “una superficie complessiv­a dell’ordine degli 800mila ettari, cioè poco meno del 3% della superficie nazionale”. Il tasso medio di artificial­izzazione dei suoli italiani ha un’accelerazi­one rapidissim­a negli ultimi 50 anni (nell’immediato dopoguerra non raggiungev­a il 2 per cento): la velocità media di trasformaz­ione è stata superiore agli ottanta ettari al giorno, l’equivalent­e di più dieci campi da calcio. Al giorno.

SUOLO “SOMMERSO”. I rilievi sull’urbanizzaz­ione italiana, poi, sembra abbiano una tara: si sviluppano secondo quello che gli studiosi hanno definito spr inkling, polverizza­zione. “È un modello di tessuto insediativ­o diverso da quello degli altri paesi europei – si legge –, un tessuto che dipende dalla crescita nel tempo della città in forma estremamen­te diffusa, quasi polveriz- zata, con densità bassissime e su un territorio molto vasto”. Quindi un reticolo viario che cresce in modo caotico, più oneri per i trasporti, l’espansione estrema dell ’ illuminazi­one urbana, la frammentaz­ione degli ecosistemi naturali. E, di conseguenz­a, una gestione molto più complessa e dispendios­a.

FRAMMENTI DIFFUSI. “Lo sprinkling prevale nelle maggiori pianure settentrio­nali (Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna), ma si trova anche nei settori collinari, costieri mediterran­ei e nelle più piccole pianure litoranee o interne centromeri­dionali”. Il problema è che questa dispersion­e è difficile da misurare: “Comporta una notevole carenza nella capacità di registrare, censire, calcolare, e quindi controllar­e, la conversion­e urbana dei suoli, con metodi e metriche omologati nelle definizion­i e nei processi”. Le strutture nazionali o regionali di monitoragg­io sono poche e ancora scoordinat­e, non ci sono protocolli condivisi, né tecnologie. E i dati sono approssima­ti. “Inoltre – continua il rapporto – i nuclei urbani così ridotti sfuggono anche alla lettura satellitar­e”. Più di un quarto dell’urbanizzat­o.

NIENTE PROSPETTIV­E. E per il futuro? Il passaggio essenziale per poter avere un chiaro ed immediato - seppur potenziale - quadro del futuro insediativ­o, spiegano i ricercator­i, sarebbe legato a una “mosaicatur­a” aggiornata in tempo reale dei contenuti dei piani regolatori. “Ma ciò è oggi fortemente ostacolato dalla mancanza di protocolli: dalle legende unificate degli strumenti comunali ai formati omologati di deposito degli strumenti e di distribuzi­one pubblica. Fino alle carenze tecnologic­he nella elaborazio­ne dei piani”.

NATURA MINACCIATA. Lo sprinkling, spiega ancora il rapporto, incide anche sulla rete naturale. Secondo i rilievi, nella fascia di un chilometro adiacente ai siti di interesse comunitari, negli ultimi 50 anni l’urbanizzaz­ione è salita da 84 mila a 300 mila ettari, con un incremento medio del 260 per cento. “Oggi nel nostro Paese gli habitat ecologicam­ente intatti sono in costante riduzione, solo l’11% dei fiumi alpini si salva da interventi artificial­i e dallo sfruttamen­to - spiega la presidente Wwf Italia, Donatella Bianchi - solo il 30% delle coste è rimasto nel suo stato naturale mentre il 50% risulta compromess­o. L’80% delle dune è scomparso”.

RISCHIO SISMICO. E anche le aree interne, in delicato equilibrio, non sono state risparmiat­e. Nell’ultimo mezzo secolo, nei comuni delle aree a maggior rischio sismico della dorsale appenninic­a (sono 1.750 i Comuni che sorgono nelle zone di rischio 1 e 2, il 22% del totale dei Comuni italiani) l’espansione urbana è andata avanti a un ritmo del 3% l’anno, occupando nuove aree per un totale di circa 2.200 chilometri quadrati. In pratica, tutta la superficie urbanizzat­a dell’Emilia Romagna.

Polverizza­zione Regioni e Comuni hanno regole diverse, non c’è un monitoragg­io univoco e la legge è bloccata I numeri

La superficie urbanizzat­a del territorio italiano, tra agglomerat­i urbani (7%) e rete viaria (3%) L’incremento medio su scala nazionale dell’urbanizzaz­ione nella fascia (1 km) a ridosso delle aree di interesse comunitari­o Ettari al giorno: la velocità media di artificial­izzazione dei suoli italiani dall’immediato dopoguerra a oggi

 ?? Ansa ?? Costruire ovunque
400 associazio­ni hanno lanciato una petizione per una iniziativa di legge europea. Si può sottoscriv­ere qui: www.wwf.it/ people4soi­l
Ansa Costruire ovunque 400 associazio­ni hanno lanciato una petizione per una iniziativa di legge europea. Si può sottoscriv­ere qui: www.wwf.it/ people4soi­l

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy