“Zonin poteva essere fermato già nel 2001. Fu salvato dai pm”
POPVICENZA Il libro dell’ex Gip: “Rovinata per essermi opposta”
“C ome sarebbe andata quella banca se nel 2002 Gianni Zonin fosse uscito di scena?” Quindici anni dopo, ripercorrendo nel suo ultimo libro Non c’è spazio per quel Giudice (edizioni Mare Verticale, 2017, da oggi in libreria) le inquietanti alchimie che hanno legato il suo calvario professionale al crac della Banca Popolare di Vicenza, il giudice vicentino Cecilia Carreri non riesce togliersi dalla testa questa domanda.
QUELLA sulla Banca Popolare di Zonin, agli inizi degli anni 2000, è stata l’ultima indagine su cui ha potuto esprimersi come giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza (BpVi), prima di finire risucchiata in un vortice di procedimenti disciplinari e di processi per via di una colpa davvero singolare: “Aver messo sotto sforzo la schiena, affetta da discopatie - recita così la sentenza della Cassazione - con attività sportive ritenute estreme”. Un mal di schiena per cui alcuni mesi prima aveva chiesto un congedo per malattia. Ora che ha perso le speranze di tornare in servizio, nonostante gli accorati appelli delle associazioni di tutela dei risparmiatori che chiedono la sua riabilitazione, ha deciso di raccontare i retroscena e i nomi di quell’incredibile vicenda.
Fu lei il giudice che 17 anni prima della liquidazione della BpVi, appena decretata, rigettò la richiesta di archiviazione di un’inchiesta della Procura di Vicenza sull’allora presidente Zonin e sulla gestione della banca - per falso in bilancio, false comunicazioni sociali, appropriazione indebita, truffa ed altri reati - che forse avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. Ma quelle indagini la Procura vicentina non le voleva condurre: “Si capiva perfettamente, leggendo gli atti - scrive Carreri - che il Procuratore non aveva voluto andare avanti, approfondire”. E il giudice racconta anche le presunte pressioni su di lei affinché l’inchiesta fosse archiviata in fretta, esercitate dall’allora capo dei pm vicentini Antonio Fojadelli, andato poi a lavorare per la società Nem Sgr controllata al 100% dalla banca di Zonin: “Il Procuratore della Repubblica Fojadelli mi aveva fermata per strada per sollecitarmi ad archiviare il fascicolo a carico di Gianni Zonin e altri - continua il magistrato - nato nel 2001 da un memoriale dell’ex direttore generale Giuseppe Grassano, da un esposto dell’associazione azionisti della banca e, soprattutto, da un’ispezione della Banca d’Italia”. Documenti ispettivi in cui già si affrontava il nodo della determinazione del prezzo delle azioni, le cui modalità, scriveva allora Bankitalia, “non sono ispirate a criteri di oggettività”. E da cui emergevano operazioni e finanziamenti che Zonin avrebbe deciso “in palese conflitto di interesse - ricorda Carreri - tra le sue aziende private e la Banca usata come cassaforte personale. Balzava evidente l’assoluta mancanza di controlli istituzionali su quella gestione: un collegio sindacale completamente asservito, un Cda che non faceva che recepire le decisioni di quell’imprenditore, padrone incontrastato della banca. Nessuno si opponeva a Zonin, nessuno osava avanzare critiche, contestazioni”. La sua ordinanza, in cui disponeva l’imputazione coatta di Zonin e dei vertici della banca, fu l’unica nota dissonante.
QUELL’INDAGINE finì ugualmente archiviata, dopo l’assegnazione del fascicolo a un altro Gip vicentino. Per Cecilia Carreri, invece, cominciò una storia decennale fatta di atti di incolpazione, procedimenti davanti al Csm, ricorsi, richieste di risarcimento. A farla cadere fu la sua grande passione per le regate d’altura: dopo il successo ottenuto a una regata transoceanica da Le Havre a Salvador Bahia, Carreri si trasformò suo malgrado nell’ emblema del“giudice-skip per” che veleggiava sugli oceani anziché fare il suo lavoro di magistrato. A nulla valsero gli sforzi per cercare di spiegare che non si può esser puniti per aver condotto una barca a vela mentre si è in ferie. Finì addirittura per lasciare la magistratura. E il libro racconta come, per una strana coincidenza, molti colleghi magistrati che decisero la sua sorte professionale siano poi risultati, in un modo o n el l’altro, legati alla Banca Popolare di Vicenza.
L’indagine “Il procuratore mi disse di archiviare, poi finì a lavorare per lui. Come molti miei colleghi”