Cambiando l’ordine di seno e gambe cambia anche l’identità
LEFFETTO NOTTE
Dal 30 giugno a Santa Croce in Gerusalemme a Roma inizia la rassegna di cinema, musica e archeologia. Fino al 7 luglio saranno proiettate i film restaurati dalla cineteca Nazionale: da “Palombella rossa” a “Profumo di donna”, e i migliori italiani della stagione. Il 16 apre l’area archeologica a vergogna è il più umano dei sentimenti, e perciò forse il più insensato e misterioso, se persino Dio si sente di chiedere ad Adamo: “Chi ti ha fatto sapere che eri nudo ?”. Di più, la “ve rgog na può essere fatale”, spiega il collettivo She She Pop in 50 Grades of Shame, che replica, l’8 luglio, al Münchner Kammerspiele.
In Italia lo spettacolo è appena passato, ed è stato tra i più attesi della 22edisima edizione del Festival delle colline torinesi, diretto da Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla e da poco conclusosi, con 27 compagnie ospiti, 19 giorni di cartellone, molte “prime” e qualche déjà vu. 50 Grades of Shame si ispira a 50 Shades of Grey di E.L. James (anche se il titolo, più che un gioco di parole, sembra una traduzione inesatta) e a Risveglio di primavera di Frank Wedekind, entrambe opere sul sesso, fin estremo e depravato, e sui sentimenti correlati, dall’inadeguatezza all’umiliazione.
ARTICOLATA in tredici lezioni più una, con piglio sarcasticamente brechtiano, la pièce è appunto un’indagine intellettuale sulla sessualità, per “strapparla alla notte” e cercare in essa una qualche “verità”. C’è filosofia ovunque, e infatti il tema è sviscerato in ogni sua forma e “sfumatura” davanti a un fantomatico tribunale della ragione di kantiana memoria: a condurre il processo è il “corpo decente” dei diciotto performer, che si alternano tra il banco degli imputati e lo scranno dell’accusa.
“Che cosa è vietato?”. Da qui si parte, e già dalle prime risposte si capisce il taglio grottesco e irriverente di tutta l’operazione, pensosa quanto ironica: è vietato “toc- carsi di fronte a quadri di donne nude al museo” oppure “parlare dei problemi erettili del partner” e via così. La prima lezione si interroga sui modi in cui “la vergogna entra nel corpo”, per poi passare con maliziosa nonchalance ai “segreti dell’e ter os ess ua lità”, al contratto sadomaso di Grey, al party bondage, alla fellatio al collega carino, alla masturbazione.
È chiaro che la vergogna di cui si parla non ha nulla a che fare con gli “atti impuri” del catechismo cattolico, ma col sentimento ancestrale, adamitico, di cui sopra: gli artisti, mutuando le parole del drammaturgo tedesco, si chiedono infatti se “il pudore sia un prodotto dell’educazione o sia radicato nella natura umana”.
La scena tribunalizia è movimentata dalle videoproiezioni su diversi maxi-scher- mi: con un sofisticato gioco di telecamere in presa diretta, i corpi degli interpreti sono smontati e rimontati, tagliati e incollati, in una serie di collage surrealisti, in cui il dettaglio anatomico di uno si appiccica alla figura di un altro. Si materializzano così esseri ibridi, ermafroditi, mostruosi: un uomo con genitali femminili; una ragazza con il pene; una donna con seni enormi e gambe sottili; pezzi di braccia di uno e sesso di un’altra; faccia giovane e busto anziano; corpi senza volto; capezzoli al posto della bocca, bocca al posto del sedere; due pance, quattro gambe...
Ancora una volta, però, la riflessione è filosofica più che pornografica: qui non si stigmatizza tanto la fluidità sessuale quanto la spersonalizzazione, la perdita dell’identità, laddove il corpo è esploso, spezzettato, frammentato in mere parti anatomiche. È il paradosso della nave di Teseo: la nave è sempre la stessa anche se tutti i suoi pezzi sono stati cambiati? Io sono sempre io anche se ho un seno nuovo, cosce scolpite, volto rugoso di donna e giovani genitali maschili?
Per She She Pop sembrerebbe di no, e va dato loro atto della coraggiosa risposta, di questi tempi reazionaria e politicamente scorretta: la danza macabra finale è infatti un inno al vitalismo orgiastico e dionisiaco, un invito alla liberazione del corpo, ma non dal corpo.
SFUMATURE Appena passato al Festival delle colline torinesi, lo spettacolo sul sesso “50 Grades of Shame” del collettivo SheShePop è un inno alla liberazione, non dal corpo, ma del corpo
LA BONTÀ dello spettacolo sta proprio nella sua disinvoltura ai limiti della spudoratezza, nel mescolare alto e basso, filosofia e parodia, il dramma di Wedekind e il porno soft della James, il tragico e il comico. Non se ne può più, invece, dell’improvvisazione in scena (da noi la usa spesso Antonio Latella, che lavora, non a caso, in Germania da anni): è solo un espediente facile per mantenere viva l’attenzione degli attori e quindi degli spettatori.
Infine, la rigorosa impostazione intellettuale è perfettamente in linea con la tradizione del teatro epico, ma – ahinoi – risulta, alla lunga, ripetitiva, così come l’a r g omento: parlar di sesso all’inizio cattura, poi però è una rottura.