Circo Orfeo
Nel disinteresse generale, la Rai di Mario-Moira Orfeo ha presentato i palinsesti autunno- inverno: i più grigi, allineati e conformisti della storia. Persino più deprimenti di quelli di Campo Dall’Orto. Ma un po’ meno di quelli dell’anno prossimo. Basta ricordare la Rai di 20, 30, 40 anni fa per trovare uno sfavillio di personaggi e programmi di alto livello e gradimento. C’era la lottizzazione, è vero, e chi non piaceva ad almeno un partito dell’arco costituzionale (Prima Repubblica) o incostituzionale (Ventennio Berlusconiano) difficilmente trovava spazio. Ma c’erano anche le eccezioni: Pasolini, Eco, Biagi, Fo&Rame, Funari, Santoro, Gabanelli, Beha, Luttazzi, i Guzzanti ecc.. Persino negli anni di B. una rete, la terza, era lasciata ai partiti di sinistra, tipo riserva indiana, a garantire una valvola di sfogo e un simulacro di pluralismo (anche se il termine esatto era spartitocrazia). Ora c’è la renzizzazione: tutte le reti e i tg in mano a un solo uomo, quello che aveva promesso di liberare la Rai dai partiti e poi li ha cacciati tutti tranne il suo. Uno che rappresenta sì e no il 25% degli italiani, eppure controlla il 100% del “servizio pubblico”. L’unico luogo, insieme a un Parlamento dopato da un premio di maggioranza illegittimo e raso al suolo dalla Consulta quattro anni fa, in cui conta ancora qualcosa.
E la Rai, come sempre, è lo specchio più fedele della politica: un potere tanto più ferocemente arrogante nei pochi palazzi che ancora controlla quanto più è debole nella società. Un potere capace di tutto, pronto a tutto e impaurito da tutto proprio perché non rappresenta nulla e nessuno. Secondo voi, perché l’apposito Mario-Moira ha chiuso l’Ar ena di Massimo Giletti, che ogni domenica pomeriggio teneva incollati a Rai1 4 milioni di telespettatori (20% di share) sbaragliando la concorrenza e incassando 7 milioni in spot, mentre faceva carte false per trattenere a suon di milioni Fabio Fazio in nome degli ascolti e degli introiti pubblicitari? Non certo perché Giletti sia un tupamaro, un rivoluzionario, o un nemico del Pd (basta rivedere le sue interviste a Renzi, tutt’altro che irriguardose). Ma semplicemente perché ha un buon fiuto e sa annusare i temi che interessano al pubblico della sua fascia e “fanno ascolti”: cronaca nera, ( in) sicurezza, (dis)servizi pubblici, sprechi e privilegi della casta. Ciò di cui ogni giorno la gente discute e mugugna al bar. Un potere tendenzialmente autoritario e dunque spaventato da tutto non può tollerare neanche questo: chi si sente debole e gonfia i muscoli per fingersi forte teme tutto ciò che non controlla.
L’A re n a era uno dei pochi programmi rimasti incontrollabili e imprevedibili, dove non sai mai che può succedere, chi può dire cosa. Che poi, in una tv normale, sarebbe un pregio: il bello della diretta che tiene il telespettatore col fiato sospeso. Invece in questa Italia, anzi in questa politica, diventa un pericolo costante. I politici, gli stessi che negano in pubblico il potere elettorale della tv, sanno bene che l’infotainment pomeridiano sposta molti più voti dei talk show serali (peraltro pressoché estinti), perché colpisce un pubblico-elettorato meno consapevole e politicizzato, più volubile ed emozionale: quella vasta area liquida delle periferie sociali che nelle urne si spostano rapidamente, sorprendendo aruspici e sondaggisti. Il Duce, un secolo fa, lo capì per primo e proibì la cronaca nera da quotidiani e cinegiornali. I ducetti di oggi aboliscono l’Arena, ripulendo gli ultimi angoli della stalla dopo aver cancellato Ballarò, espulso Gazebo , intimidito Report e Cartabi anca. Affinché resti un solo modello: quello pettinato, telefonato e rassicurante di Porta a Porta, nella versione destrista e obitoriale di Vespa e in quella sinistrista e ridanciana di Fazio. Impossibile che, sotto quel sudario di conformismo, trapeli qualche tema controverso, qualche notizia problematica. Ciò che non dice il Tg Unico (cioè quasi tutto, a parte le veline di palazzo) non lo dirà nessuno, almeno in tv. Bisognerà cercarlo su qualche giornale, per chi ancora legge, o nel maremagno della Rete, sempre più screditata dalla campagna anti- fake news.
L’altro giorno una mezzabusta berlusconiana, relegata in un sottoscala dalla caduta del Caimano, si aggirava per i corridoi di Saxa Rubra inconsolabile perché B. ha digerito senza fiatare la nomina dell’orfeiano-renziano Andrea Montanari al Tg1: possibile che regali tutta la Rai a Renzi alla vigilia della campagna elettorale? Qualcuno le ha spiegato che B. è tutto fuorché stupido e avalla tutto ciò perché ha avuto precise garanzie: le tre reti e i tre tg sono anche suoi e continueranno a proteggere sia lui sia Renzi e a sparare contro il comune nemico a 5Stelle, unico ostacolo al governo Renzusconi prossimo venturo. Del resto, è quello che già fanno: sugli inquietanti avvertimenti del boss Graviano a B., qualche servizietto incomprensibile e poi silenzio di tomba, esattamente come sul caso Consip (quello vero: Lotti e i generaloni indagati per le soffiate, babbo Tiziano indagato per le promesse tangenti in cambio di appalti pilotati), sul processo a Sala e sulle balle etrusche della Boschi; e botte da orbi a Raggi, Appendino e 5Stelle imputati per le firme false (quelle degli altri non esistono). Perciò B. non chiede reti né tg: li ha già. E fanno tenerezza Toti, Salvini e Meloni che continuano a invocare l’unità del centrodestra, come se la Rai non insegnasse nulla. Naturalmente, con sei tv in mano a Renzi&B. (che rappresentano un italiano su tre) e nessuna agli altri (due su tre), le prossime elezioni saranno ancor meno democratiche delle precedenti. Ma nessuno lo dice, e ci mancherebbe: se lo dicesse qualcuno, saremmo una democrazia.