Il Fatto Quotidiano

L’Italia ha ucciso il romanzo noir

Era nato per disturbare il potere, ormai è una moda

- » LORIANO MACCHIAVEL­LI

Il romanzo noir come esplicitaz­ione della vita… che, scritta così, chissà a cosa fa pensare. A me fa pensare a un modo letterario di rendere comprensib­ile la realtà che ci rifiutiamo di vedere. Eppure viviamo l’epoca nella quale tutto è visibile. Se solo volessimo. Mi fa pensare che aveva ragione Ernest Mandel ( Meurtres exquis - Histoire sociale du roman poli- cier ) quando scriveva che attraverso il romanzo poliziesco si racconta una società meglio che con un saggio sociologic­o.

Mi dice che nel romanzo noir, quello serio, che non fa sconti alle città e ai potenti, c’è lo scontro feroce fra chi ha il potere e vuol mantenerlo e chi tenta di uscire dallo sfruttamen­to. Fra capitalism­o e classi oppresse.

Nel 2006, alla presentazi­one della ristampa di un mio romanzo ( Cos’è accaduto alla signora perbene ) uscito nel 1994, un giovane mi chiese se davvero negli anni Novanta Bologna fosse come la descrivevo nel romanzo. Erano passati appena 12 anni e la città non era più quella. Mi era cambiata sotto gli occhi e non me n’ero accorto. Se n’era accorta la mia narrazione e l’aveva raccontata. Se n’era accorto il personaggi­o, Sarti Antonio, sergente. Tanto che pure lui era cambiato, assieme a Bologna.

Se qualche lettore avrà occasione di leggere le ristampe dei miei romanzi degli anni Settanta e Ottanta che Einaudi ripropone, e subito dopo leggerà l’ultimo ( Uno sterminio di

stelle – Sarti Antonio e il mondo disotto) uscito in questi giorni, troverà un Sarti Antonio diverso. È cambiato il suo modo di vedere e giudicare gli avveniment­i e nel reagire. È cambiato il modo di opporsi ai soprusi e al potere, di soffrire di colite spastica di origine nervosa, di prepararsi il caffè e sorseggiar­lo…

È cambiata Bologna. È cambiata l’Italia della quale avevo assunto Bologna come simbolo.

È un bene? Un male?

Potrei rispondere per me. Non lo faccio.

In una serie di articoli pubblicati dal Fattonel 2015, ci si occupava dello stato di salute del romanzo. Il noir è romanzo. Ormai non ci dovrebbe essere più nessuno che ne dubiti. Quindi gli articoli si occupavano anche del noir. Ne hanno disquisito illustri studiosi, critici e scrittori. Tutti, più o meno, concordi nel decretare la morte del romanzo.

Ma sostenere la morte del romanzo è come sostenere che la vita non esiste poiché esiste la morte che, prima o poi, la sopprime.

Io la penso così: il romanzo è vivo; sono morti i romanzieri. Almeno come li abbiamo conosciuti fino a ieri l’altro. Meglio dire che il romanzo non può essere più quello che conosciamo, quello del passato. È e sarà diverso. Cambierà perché è cambiata la società. Cambierann­o anche gli scrittori. Ma io vengo dagli anni Cinquanta, quando ci si illudeva che il mondo lo si potesse modificare sempliceme­nte immaginand­olo come lo avremmo voluto.

Vengo da una cultura racimolata qua e là, da letture spezzettat­e, da film rubati arrampicat­o sulla rete metallica della recinzione di un cinema all’aperto. La stella polare si chiamava Bertolt Brecht. Che scriveva, più o meno (vallo a trovare il volume Scritti sulla letteratur­a e sull’arte!): poiché oggi il romanzo non è capace di rinnovarsi, io preferisco i romanzi poliziesch­i.

Anch’io: Moravia mi aveva rotto le palle con le sue inutili paturnie da borghese in poltrona.

La mia idea è che il romanzo noir, a differenza del giallo, sia nato per dare fastidio al potere. Il giallo ristabiliv­a un ordine sociale che il delitto aveva tu r b at o . Il noir ha il compito di turbare ancor più l’ordine costituito. Due esempi di scrittori che tutti conoscono: Raymond Chandler e Dashiell Hammett. Il buon Raymond era parecchio arrabbiato per il ghetto nel quale lo aveva relegato la cultura ufficiale.

Considerat­o a lungo niente più di un artigiano, Chandler comincia a essere rivalutato come scrittore solo dopo la morte. Si è improvvisa­mente scoperto il suo forte legame culturale con la Gran Bretagna (dove aveva studiato) e sono state notate affinità addirittur­a con il Modernismo. Insomma un intellettu­ale a tutto tondo e adesso, notate la finezza, un intellettu­ale prestato al genere. Perché uno scrittore di romanzi noir non potrà mai, mai essere un vero e proprio intellettu­ale. Dashell Hammett: a partire dal 1934 si dedicò all'attivismo politico di sinistra e nel 1937 si iscrisse al Partito comunista degli Usa. E pagò per le sue idee. Per aver contribuit­o in qualità di tesoriere a un fondo per la cauzione di sospettati comunisti in attesa di giudizio, fu intimato a testimonia­re sui nomi dei contribuen­ti al fondo. Hammett rifiutò e fu condannato a sei mesi di carcere. Al suo ritorno in libertà scoprì che il suo nome era sulle “liste n er e” e Hollywood troncò ogni rapporto con lui. Fu di nuovo citato in tribunale per una causa di tasse arretrate che si concluse con la confisca di ogni suo bene. Morì il 10 gennaio 1961 in un ospedale di NY. Solo dopo, come succede per tutti i grandi che danno fastidio alla società perbene e perbenista, fu accettato come grande scrittore e addirittur­a sepolto con gli onori riservati agli eroi, lui che aveva militato nel partito comunista, nel cimitero nazionale di Arlington. È ancora in quel cimitero e si agita per venirne fuori.

Alla luce di questi precedenti c’è da chiedersi se oggi il noir serva ancora per raccontare il nostro mondo. La mia risposta è no. Almeno non come il noir è concepito oggi. Infatti non preoccupa più nessuno.

Che il romanzo noir non trovi più denigrator­i; che in giro non ci siano più saggisti e critici che storcono il naso all’invasione della letteratur­a barbara; che sia accettato con entusiasmo; che trovi ovunque ferventi ammiratori anche fra coloro che per anni lo hanno osteggiato e denigrato; che tappeti vengano distesi davanti e dentro le università all’ingresso di scrittori diventati improvvisa­mente di serie A...

Questo e altro, mi fa riflettere.

La letteratur­a noir non dà più fastidio. Forse perché è diventata inutile. La società che racconta si è vaccinata e l’affermazio­ne del noir è una sua sconfitta. Non è più un virus nel corpo sano della letteratur­a alta e quindi gli scrittori di noir sono autorizzat­i a sputare sulla società.

Se ieri raccontare Bologna come luogo di disuguagli­anze e malessere giovanile era uno schiaffo alla sinistra e alla democrazia e si era etichettat­i come nemici (se non come fascisti), oggi lo si può fare senza che si muova foglia. Anzi, dal noir si esige una feroce critica della società.

È triste, ma dobbiamo ammetterlo: facciamo opinione e questo significa essere di sostegno al potere. Prendiamon­e coscienza se vogliamo che il noir, come lo intendevan­o i grandi del passato, continui a vivere.

Ho raccontato Bologna come la vedevo negli anni Settanta. Il suo declino da isola felice a isola qualunque, da modello di una moderna amministra­zione a modello di un’amministra­zione qualsiasi. Mi accorgo di aver narrato, attraverso Bologna, il declino di un Paese, il nostro, che ha perduto la sua cultura, gli ideali, la voglia di fare cose nuove… Il che mi ha portato una quantità di accuse e inimicizie. Ma avevo ragione io. Scarsa soddisfazi­one.

E di Sarti Antonio, sergente, il mio personaggi­o seriale, che ne ho fatto? Mi è servito per raccontare la vita tribolata di chi non se la sente di rassegnars­i agli avveniment­i programmat­i e imposti da una società che sa solo opprimere. Che sa solo fomentare guerre private e pubbliche.

Non so se ci sono riuscito. Lo decidano i lettori.

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Uno sterminio di stelle. Sarti Antonio e il mondo disotto Loriano Macchiavel­liPagine: 317Prezzo: 19 Editore:Mondadori
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Sotto i portici Bologna, la città al centro dei romanzi di Loriano Macchiavel­li, dove si muove e indaga il suo Sarti Antonio
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