Il Fatto Quotidiano

“In Canada i migranti siriani sono utili alle aziende e i costi li sostiene lo Stato”

Il businessma­n così ha “salvato” decine di profughi

- » MICHELA A. G. IACCARINO

Un giorno del 2015, un tg, un salotto in una casa borghese dell’Ontario, Canada: Jim Estill, 60 anni, imprendito­re, ha preso la decisione che ha cambiato la vita a centinaia di rifugiati siriani. “Ho visto questa enorme crisi umanitaria e ho preso la mia lista degli impegni. Ho chiesto alla mia assistente di organizzar­e incontri con chiese, moschee, l’Esercito della Salvezza per farli venire qui”. La prima famiglia di rifugiati di Aleppo che la Danby, la sua azienda, ha “adottato” è arrivata nel gennaio 2016, l’ultima a maggio 2017, ma “molte altre sono in arrivo, finora siamo riusciti a far arrivare 58 nuclei familiari, circa 200 persone”. “Mi ha aperto gli occhi un rabbino che ha detto che una delle ragioni per cui l’olocausto è avvenuto è perché la maggior parte delle persone rimaneva ferma. Se succedesse alla mia famiglia, cosa vorrei? Io non vorrei solo essere nutrito in una tenda, vorrei un lavoro, per ricomincia­re”.

Jim, quanto ti costa?

Ho già speso un milione e mezzo di dollari, alla fine saranno molti di più. Come si integrano aiuto umanitario e business?

Io credo nel lavoro. Queste persone non vogliono vivere di carità, vogliono guadagnars­i da vivere, li aiutiamo a farlo di nuovo. La Danby offre un permesso di lavoro di 90 giorni a tutti i rifugiati che lo richiedono. Insegniamo loro l’inglese, li aiutiamo a scrivere il cv per trovare un lavoro, idealmente, nel campo che gli interessa. Spesso le richieste sono rivolte alla Danby stessa e li teniamo.

Dici spesso “noi aiutiamo le persone che hanno paura delle persone di cui abbiamo pau ra”. La politica non la pensa così.

Non faccio politica né rilascio commenti politici. Ma penso che gli altri governi dovrebbero adottare il sistema canadese di “sponsorshi­p privata”. Permettere alle persone

Non vogliono vivere di carità, chiedono solo di poter lavorare Offriamo un permesso di impiego di 90 giorni e insegniamo l’inglese

di sponsorizz­are i rifugiati, di “adottarli” e ne paga i costi. Questo riduce le tasse per il resto della popolazion­e. L’economia non è a somma zero. Ma so che la questione è molto più facile da dibattere in Canada: viviamo nell’abbondanza, abbiamo spazio, abbiamo lavoro, siamo fortunati, quindi credo sia giusto condivider­e con gli altri.

Il ragazzo che dipingeva i recinti dei vicini a 14 anni per racimolare soldi da investire, mentre i coetanei sognavano di diventare giocatori di football, va in giro senza mai giacca e cravatta. Jim non era abituato a essere baciato dagli uomini, “ma è ciò che fanno appena mi vedono”.

E tu cosa fai?

Vedo sollievo e gratitudin­e nei loro occhi. Resto colpito da come descrivono le rovine delle loro case dopo le bombe, i racconti di come sono morti fratelli, sorelle, figli, padri, madri. Non c’è nessuno che non abbia perso qualcuno. Un padre di famiglia mi ha fatto vedere le foto di casa sua, non molto diversa dalla mia, foto della sua azienda con 20 impiegati. Ha 50 anni e tutto quello che ha costruito gli è stato tolto. Lui era unbusiness­man, proprio come me.

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Jim Estill, 60 anni, è Ad della Danby a Guelph, Ontario. A destra, con un gruppo di siriani che lavorano nella sua azienda di elettrodom­estici
Umanità casual Jim Estill, 60 anni, è Ad della Danby a Guelph, Ontario. A destra, con un gruppo di siriani che lavorano nella sua azienda di elettrodom­estici
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