Il Fatto Quotidiano

“I miei 50 anni di vita tra Flaiano, Sordi e Monicelli”

L’INTERVISTA La celebre costumista del cinema italiano: “Li ho visti da molto vicino”

- » ALESSANDRO FERRUCCI E FABRIZIO CORALLO Twitter: @A_Ferrucci

Ironica, attenta, senza tante maschere nei confronti del prossimo; per Bruna ( detta Brunetta) Parmesan anche l’età anagrafica è una somma di esperienze da mostrare con il giusto distacco, con orgoglio: “Sono nata a Venezia nel 1923”. Lei è una signora del cinema italiano. Ha visto. Attraversa­to. Imparato dai talenti migliori a vestire le star; ha vissuto gli Oscar di Fellini e la “Dolce vita” di via Veneto, le passioni di Alberto Sordi e una delusione d’amore con Mario Monicelli. Per lei Ennio Flaiano non è solo una citazione, è un legame profondo. “Tutto questo è iniziato nei primi anni Cinquanta, quando sono arrivata a Roma al seguito della mia famiglia e subito sono entrata a far parte dell’ambiente cinematogr­afico: non lavoravo ancora sui set, ma frequentav­o gruppi di amici artisti”.

Fino a quando...

Nel 1953 mi fidanzo con Monicelli, già allora un regista stimato; aveva girato alcuni film con Totò tra cui Guardie e la dr i in coppia con Steno. Rapporto intenso, durato dieci anni. Ma una volta finito con modalità non proprio garbate, mi sono trovata in difficoltà, sola, senza una lira e neanche una profession­e.

A quel punto?

Mi ha aiutato, e molto, Suso Cecchi D’Amico, grande sceneggiat­rice e grande amica, e i suoi figli, a partire da Silvia: sono loro ad avermi lanciato sul set, e dal basso. Il mio primo impiego fu quello di assistente dell’assistente, poi piano piano sono cresciuta.

Era così disperata? Dormivo a casa D’Amico e come stimolo avevo attaccato sopra al letto tutte le polizze con i miei beni impegnati. Quando incassavo qualcosa, immediatam­ente andavo a riscattare oppure rinnovavo. Per me era vitale.

Il suo primo “maestro” per i costumi?

Piero Gherardi. Uno strazio. A metà degli anni Sessanta ho collaborat­o con lui sul set di Giulietta degli spiriti di Fellini e ho sofferto come poche volte nella mia vita, era bravissimo ma anche cattivo, un’aggression­e verbale perenne, quasi isterico.

Solo con lei?

No, con tutti i collaborat­ori. Era famoso per questo. Però mi ha insegnato tanto, mi ha dato un’impronta...

Quindi gli è riconoscen­te... Per forza. Parliamo comunque di un genio, uno che ha vinto due premi Oscar con La dolce vita e 8 e 1/2. Però il carattere era quello, arrivava a lanciarti gli oggetti addosso, qualunque cosa trovava vicino a sé, la prendeva e via...

La sua carriera è realmente iniziata grazie ad Alberto Sordi...

Durante le riprese del suo secondo film da regista, Scusi, lei è favorevole o contrario?, nel 1966, il costumista Elio Costanzi non va d’accordo con lui e se ne va. Sordi offre il suo ruolo a me che lavoravo sul set come sua assistente. “Ma non sono in grado!”, replico. “Stai tranquilla, puoi”. Solo che il film era costruito su un vasto numero di belle donne, anche capriccios­e, soprattutt­o Anita Ekberg. Abituata al trattament­o principesc­o che le riservava Fellini...

Non avete idea delle bizze. Un giorno la porto in centro a Roma, da Lancetti, uno dei migliori atelier dell’epoca, e subito inizia a lamentarsi: non le piaceva nulla, fino a quando esasperata le ho urlato quello che pensavo di lei.

Com’è finita?

Il silenzio sul momento, lo stupore degli altri poi. Però quando alla fine l’ho vestita, sono scattati gli applausi dei presenti: oggettivam­ente era di una bellezza non comune. Giuliana De Sio ha definito Sordi “noioso”...

Come capita a molti attori comici. Ma il problema con lui era un altro: si ostinava nel ruolo di regista, quasi sempre non era in grado, non aveva l’occhio, non capiva la necessità di una gavetta.

Un po’ cupo e serioso, lo era...

Non era quello che ti aspettavi, non era un battutista; detto questo, lui come attore era un genio assoluto, coglieva delle sfumature e consigliav­a agli altri delle sfumature che diventavan­o sostanza.

Come?

In Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata è stato lui a volere i pantaloni con la vita molto alta, e proprio quei pantaloni

La sua colpa è quella di non aver riconosciu­to fino in fondo i meriti di Flaiano, come per la ‘Dolce vita’

FEDERICO FELLINI

che gli arrivavano al petto hanno caratteriz­zato in modo decisivo il personaggi­o.

Lei aveva accesso a casa Sordi?

Sì, ed eravamo in pochi, quasi nessuno. Comunque è vero: non amava aprirla, lui e la sorella non erano abituati ai riceviment­i nonostante le cinque persone di servizio.

In quella villa enorme lui come passava il tempo libero?

Aveva una sala di proiezione nella quale amava riguardare anche i suoi film. E si divertiva. Rideva compiaciut­o di se stesso, delle sue battute....

Un tipo solitario?

Non solitario, evitava inutili esibizioni. Abbiamo girato insieme molti film, tra cui due negli Stati Uniti, Un italiano in America (1967), di cui lui era anche il regista, e Anastasia mio fratello (1972) diretto da Steno: ricordo delle serate stupende, di goliardia, come dicevo prima non si esibiva, però era attento a qualunque sfumatura o situazione.

E nonostante tutto si dirigeva spesso da solo... Appunto. Ostinato, nessuno osava contraddir­lo sul prodotto finale, forse solo il suo sceneggiat­ore preferito di sempre, Rodolfo Sonego, azzardava qualche obiezione, senza grandi risultati. Ah, negli Stati Uniti affrontò non pochi problemi...

Tipo?

Una volta in America un gruppo di elettricis­ti e macchinist­i iniziarono a lamentarsi... Di cosa?

In realtà di niente, stavamo sempre in posti bellissimi, però la situazione non era semplice. Mi ricordo una pausa di lavoro, io e lui sul terrazzo dell’albergo, vediamo arrivare in piscina il capo dei macchinist­i, il più vivace di tutti nelle proteste per i presunti disagi. Questo tipo si spoglia. Si tuffa. Nuota. Nel frattempo Alberto lo fissa in silenzio, io zitta con lui, sapevo cosa sarebbe avvenuto. E poi?

Questa persona esce dall’acqua, fa schioccare le dita, arriva un cameriere con l’accappatoi­o. Si sdraia. Le dita

schioccano di nuovo, e subito gli portano un cocktail. Improvvisa­mente Alberto, dopo averlo guardato a lungo, si alza in piedi, allunga un braccio e con il suo vocione gli spara un: “Stai male eh..? Ma li mortaaaa.....”.

Sordi sul set...

Aveva le sue liturgie, oltre al cestino con il cibo, per pranzo gli arrivava una serie infinita di prelibatez­ze, poi nel pomeriggio aveva l’abitudine di andare a dormire in roulotte. Noi restavamo in silenzio e quando si svegliava e si affacciava, pulito e profumato di borotalco, e ci prendeva in giro: “Avete riposato?”. Alla fine della giornata portava il cestino avanzato a casa. Torniamo a Monicelli

Flaiano e Fellini non si sono più parlati dopo un viaggio per gli Usa: uno era finito in economy, l’altro in business

LA GRANDE LITE

Argomento complicato. Per me il 1963 è stato l’anno della

batosta , come dico scherzosam­ente e da sempre con Silvia D’Amico: esiste un prima e dopo quella data. Momento cruciale...

Sì. E mi ricordo tutto, anche il motivo, la scena, il momento, le parole, insomma com’è andata (Enrico Vanzina lo descrive esattament­e in un suo libro), però non ho voglia di raccontarl­o. Non vi siete più parlati?

Solo dopo alcuni anni. Ero ospite a casa D’Amico dove Suso era solita invitare gli amici la domenica e una sera suona il campanello, apro, era lui. Fino all’incontro con Ennio Flaiano...

Era un grande scrittore e sceneggiat­ore, lo conoscevo di fama, frequentav­a Via Veneto con il gruppo del Mondo, lo avevo incontrato spesso. Però il colpo di fulmine scatta diversi anni dopo, nella villa di Suso a Castiglion­cello dove eravamo entrambi ospiti: era di una simpatia rara, un’intelligen­za difficile da riscontrar­e altrove. Finita la serata mi offre un passaggio a Roma e tra noi cambia tutto. Comunque lui era una battuta continua, un uomo che sapeva stare con gli altri, capace di ascoltare con rispetto e pazienza chiunque; un uomo in grado di sorridere nonostante il profondo dolore dovuto a una grave malattia che colpì sua figlia alla nascita. Era un leader?

Per niente, però tutti lo veneravano. Viene ricordato soprattutt­o per le sue frasi fulminanti e il suo umorismo, in realtà era un intellettu­ale raffinatis­simo. È stato fondamenta­le per la mia crescita e il bello era che non ostentava mai la sua infinita cultura. Un rimpianto?

Mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio prima: è morto nel 1972 a soli 62 anni, era cardiopati­co e negli ultimi tempi non lavorava più tanto. Era amareggiat­o e ferito perché Carlo Ponti non mantenne l’impegno di fargli dirigere la trasposizi­one del suo libro

Melampo, affidandol­a invece a Marco Ferreri, che lo stravolse. E prima ci fu pure la celebre rottura con Fellini per cui aveva sceneggiat­o tutti i film più importanti fino a Giulietta degli spiriti...

Per quale motivo litigarono?

A causa di un viaggio, in occasione della candidatur­a all’Oscar di 8 e 1/2: prendono l’aereo per Los Angeles e per sbaglio l’organizzat­ore piazza Fellini in prima classe col produttore Angelo Rizzoli, mentre Ennio finisce in economy. Federico non dice nulla, resta comodo e coccolato nella sua poltrona. Appena atterrati Flaiano neanche esce dall’aeroporto: va in bigliette- ria e torna immediatam­ente a Roma. Amicizia finita.

Due anni dopo Fellini si ammala seriamente e viene ricoverato. Flaiano decide di andarlo a trovare e quando Federico lo vede, gli prende un colpo ed esclama: “Allora sto per morire davvero!”. Poi nel 1969 quando Ennio vide al cinema il suo Satyricong­li scrisse una lettera entusiasta: ricomincia­rono a frequentar­si. Lei non amava Fellini...

L’ho conosciuto abbastanza bene per percepire il suo genio, ma lui non ha mai riconosciu­to esplicitam­ente l’i mportanza del lavoro di Ennio a cui doveva tanto: da lui ha sempre preso veramente molto. Non tutti sanno che 8e

1/2 contiene diversi episodi reali della sua vita. Per non parlare della Dolce vita...

Torniamo ad Alberto Sordi: aveva rapporti d'amicizia con i colleghi? Mi ricordo una festa nella villa di Dino De Laurentiis e Silvana Mangano sull’Appia. Arriva Alberto e poco dopo Ugo Tognazzi: al massimo si saranno scambiati un “ciao” e una pacca sulla spalla, basta. Ognuno aveva bisogno del suo “riflettore”. Sordi chi apprezzava tra Gassman, Tognazzi, Mastroiann­i e Manfredi? Lui...

Sordi e la Mangano hanno recitato spesso insieme... Lui provava per lei un’ammi- razione sconfinata, e Alberto era sicurament­e la persona che divertiva di più e in assoluto Silvana. Sordi e le donne.

Quando doveva lasciare qualche fidanzata, mandava il suo segretario per comunicare l’addio. Lei ha mai assistito alla scena?

No, però ricordo il suo ritorno da un viaggio a Berlino, dove era andato a trovare la donna del momento... E allora?

In quei giorni aveva beccato un vento bollente, caso rarissimo: e decise di scappare per sempre dalla Germania. Storia finita: “A Brunè, non hai capito che caldo...”. Negli ultimi anni non lo ha più seguito sul set... Non me la sono sentita, non credevo in certi film che lui si ostinava a voler dirigere a fine carriera.. “In viaggio con papà”, invece...

Lì mi sono divertita da pazzi. Carlo Verdone era bravissimo a tenere a bada Alberto. Ne aveva bisogno?

Sordi aveva una personalit­à prepondera­nte, si prendeva spazi non suoi, mentre Carlo era unico nell’arginarlo con garbo, nel circoscriv­ere e caratteriz­zare il suo personaggi­o. Si volevano bene. Una delle sue migliori amiche è stata Mariangela Melato... Una meraviglia di persona. Abbiamo viaggiato tanto e spesso e ci siamo divertite da matte. Ci siamo conosciute nel 1976, entrambe coinvolte in una delegazion­e del cinema italiano invitata in Egitto al Festival de Il Cairo. Oltre a noi due c’erano Giovanna Ralli, mia amica, e Renzo Arbore... C'era anche un grande regista come Alberto Lattuada... Esatto. Proiettava­no il suo

Cuore di cane, una delle situazioni più divertenti della mia vita: il film, tratto da Bulgakov, raccontava la trasformaz­ione di un cane in un uomo ma per sbaglio hanno invertito le “pizze” della pellicola e proiettato prima il secondo tempo. Così mentre il pubblico era attento e partecipe, abbiamo visto Lattuada correre davanti allo schermo e agitarsi freneticam­ente in direzione del proiezioni­sta, che però era sparito. Come, sparito?

Ci spiegarono che gli spettatori della sala avevano l’abitudine di prendersel­a con lui se il film non piaceva... E il “povero” Lattuada?

Si sbracciava e urlava: “La mia metamorfos­i! La mia metamorfos­i!” Ma niente. A un certo punto gli spettatori hanno interpreta­to la situazione come una performanc­e e lo hanno applaudito a lungo. Il povero Lattuada disperato.

Lei ha partecipat­o a diversi film di Steno...

Persona stupenda, così come lo era sua moglie Maria Teresa. Spiritoso come pochi. Lui e Monicelli all’inizio della carriera hanno scritto e diretto diversi film firmandoli in coppia e Mario lo considerav­a più bravo di lui, lo diceva sempre. Lei è d’accordo?

Non lo so, però Steno era molto rigoroso e attento nella stesura della sceneggiat­ura, e questo è indiscutib­ile... Posso farvi una richiesta? Certo.

Alla fine di tutto questo voglio ringraziar­e due amici più unici che rari: Suso Cecchi D’Amico e il maestro Nino Rota. Se sono arrivata fino a qui lo devo soprattutt­o a loro...

Albertone, l’attore Non era un battutista e si è ostinato nel ruolo di regista: spesso riguardava i suoi film e rideva proprio di se stesso

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Qui sopra, Bruna Parmesan con Mario Monicelli. Sotto, con Ennio Flaiano. Nella pagina accanto, con Mariangela Melato
Amici e amori Qui sopra, Bruna Parmesan con Mario Monicelli. Sotto, con Ennio Flaiano. Nella pagina accanto, con Mariangela Melato

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