Bisogna organizzare la resistenza musicale (almeno nei ristoranti)
Le bruttezze che caratterizzano questo mondo sono infinite. All’interno di cotanta galassia degli orrori, grandi o piccoli che siano ma pur sempre orrori, c’è l’abitudine colpevole e sommamente empia di tenere alta la musica nei locali. Qualsiasi locale, ma – quel che è peggio – anzitutto bar e ristoranti. Un vero e proprio abominio culturale. La dimostrazione che ogni pubblicazione dovrebbe avere una rubrica dal titolo: “Meritiamo l’e st i nzione, please alieni bombardateci”. La musica alta, oltre a essere una cafonata e costringerti a urlare per farti sentire dalla persona che hai davanti, è la dimostrazione che è passato ormai un messaggio tremendo: la musica intesa come tappabuchi.
Mero sottofondo, elemento di contorno e arredo, quasi che non fosse un assolo di Jimi Hendrix ma un elemento di tappezzeria. Al contrario, almeno per chi ha un minimo di comprendonio e si vuol bene, la musica è una scelta attiva: sono io che decido se, cosa e quando ascoltare qualcuno. Non certo il barista o il ristoratore.
Tale prassi, che meriterebbe con agio qualche anno di galera o – se proprio pretendete un atto inutile di misericordia – un bel ciclo di lavori forzati nonché socialmente utili, si riscontra anche in certi negozi di vestiti. Dà fastidio anche lì, per carità, ma se decidi di vestirti in certi posti il minimo che ti meriti è Fabio Rovazzi a tutto volume. Il peggio però è quando sei al bar o al risto- rante. Una musica garbata in sottofondo e a basso volume andrebbe bene, anche se quasi sempre a tavola è meglio il silenzio. Macché: brutta musica, messa a caso e pure ad alto volume. Spesso la scelta è totalmente avulsa dal contesto.
MAGARI sei in un ristorante che ha pure pretese ambiziose, e se sei fortunato cucinano pure bene e la carta dei vini è discreta. Sembra funzionare tutto. Poi però arriva l’armageddon: ti piazzano lì un Despacito a tutto volume e a tradimento, che non c’entra nulla e che si abbinerebbe bene giusto a un 4 salti in padella scongelato male di cardi morti al ginseng cucinati da chef Nardella in persona.
È tutto profondamente volgare, privo di logica e rispetto. La musica è usata come il parmigiano sulla frittura di paranza. E il parmi- giano è pure di pessima qualità. Andrebbe organizzato un comitato di resistenza musicale contro tutti i locali che ti costringono a urlare per mangiare, a evitare gli altoparlanti neanche fossero mine antiuomo e a sperare che il proprietario ami i Led Zeppelin e non Giusy Ferreri (quasi sempre è il contrario, perché siamo nati per soffrire e ci riesce da Dio).
Un gran bel boicottaggio, da allargare magari a chi tiene accesa la tivù mentre mangi (lì il codice penale dovrebbe prevedere direttamente l’ergastolo). Occorrerebbe fare come a San Francisco, dove ci sono guide che segnalano il grado di rumorosità dei locali. Occorrerebbe restare umani, come diceva una gran bella persona, in ogni gesto della nostra vita. Restare umani. O anche solo un po’ meno deficienti.