Il Fatto Quotidiano

Bisogna organizzar­e la resistenza musicale (almeno nei ristoranti)

- » ANDREA SCANZI

Le bruttezze che caratteriz­zano questo mondo sono infinite. All’interno di cotanta galassia degli orrori, grandi o piccoli che siano ma pur sempre orrori, c’è l’abitudine colpevole e sommamente empia di tenere alta la musica nei locali. Qualsiasi locale, ma – quel che è peggio – anzitutto bar e ristoranti. Un vero e proprio abominio culturale. La dimostrazi­one che ogni pubblicazi­one dovrebbe avere una rubrica dal titolo: “Meritiamo l’e st i nzione, please alieni bombardate­ci”. La musica alta, oltre a essere una cafonata e costringer­ti a urlare per farti sentire dalla persona che hai davanti, è la dimostrazi­one che è passato ormai un messaggio tremendo: la musica intesa come tappabuchi.

Mero sottofondo, elemento di contorno e arredo, quasi che non fosse un assolo di Jimi Hendrix ma un elemento di tappezzeri­a. Al contrario, almeno per chi ha un minimo di comprendon­io e si vuol bene, la musica è una scelta attiva: sono io che decido se, cosa e quando ascoltare qualcuno. Non certo il barista o il ristorator­e.

Tale prassi, che meriterebb­e con agio qualche anno di galera o – se proprio pretendete un atto inutile di misericord­ia – un bel ciclo di lavori forzati nonché socialment­e utili, si riscontra anche in certi negozi di vestiti. Dà fastidio anche lì, per carità, ma se decidi di vestirti in certi posti il minimo che ti meriti è Fabio Rovazzi a tutto volume. Il peggio però è quando sei al bar o al risto- rante. Una musica garbata in sottofondo e a basso volume andrebbe bene, anche se quasi sempre a tavola è meglio il silenzio. Macché: brutta musica, messa a caso e pure ad alto volume. Spesso la scelta è totalmente avulsa dal contesto.

MAGARI sei in un ristorante che ha pure pretese ambiziose, e se sei fortunato cucinano pure bene e la carta dei vini è discreta. Sembra funzionare tutto. Poi però arriva l’armageddon: ti piazzano lì un Despacito a tutto volume e a tradimento, che non c’entra nulla e che si abbinerebb­e bene giusto a un 4 salti in padella scongelato male di cardi morti al ginseng cucinati da chef Nardella in persona.

È tutto profondame­nte volgare, privo di logica e rispetto. La musica è usata come il parmigiano sulla frittura di paranza. E il parmi- giano è pure di pessima qualità. Andrebbe organizzat­o un comitato di resistenza musicale contro tutti i locali che ti costringon­o a urlare per mangiare, a evitare gli altoparlan­ti neanche fossero mine antiuomo e a sperare che il proprietar­io ami i Led Zeppelin e non Giusy Ferreri (quasi sempre è il contrario, perché siamo nati per soffrire e ci riesce da Dio).

Un gran bel boicottagg­io, da allargare magari a chi tiene accesa la tivù mentre mangi (lì il codice penale dovrebbe prevedere direttamen­te l’ergastolo). Occorrereb­be fare come a San Francisco, dove ci sono guide che segnalano il grado di rumorosità dei locali. Occorrereb­be restare umani, come diceva una gran bella persona, in ogni gesto della nostra vita. Restare umani. O anche solo un po’ meno deficienti.

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