La politica finì con “Blow Up”
Il regista Dardenne ricorda il capolavoro di Antonioni
Ho
rivisto, a Parigi, Blow
Up di Michelangelo Antonioni. Il film era presentato da due filosofi. Uno dei due ci ha spiegato in quale misura il film fosse una riflessione su quel reale che tende sempre a sfuggirci. Thomas scoprirà che gli ingrandimenti delle sue foto non rivelano nulla, che il reale tanto ambito si è dissolto attraverso le smagliature della grana fotografica. L’altro ci ha spiegato in quale misura il film fosse una mise en abîme del cinema, una messa in scena dei punti di vista che definiscono il cinema quale costruzione di un reale che varia a seconda degli angoli visuali e dei valori dell’inquadratura, insinuando in noi il dubbio circa l’esistenza fittizia o reale di questo reale prigioniero dei diversi punti di vista.
Pubblichiamo il testo scritto dal regista Luc Dardenne per la Milanesiana, ideata da Elisabetta Sgarbi, di cui sarà ospite oggi e domani.
Rivedendo il film, ho intravisto la possibilità di un’altra interpretazione, che mi è apparsa evidente nella scena in cui Thomas, il fotografo protagonista, torna di sera nel parco e si rende conto che l’apparenza del corpo umano coricato sotto gli arbusti, corpo rivelato da una delle foto ingrandite, corrisponde a un corpo reale, al cadavere di una persona che avrebbe fatto da bersaglio al revolver tenuto in mano da qualcuno nascosto tra i cespugli, rivelato a sua volta dall’ingrandimento di un’altra foto scattata prima della foto rivelatrice del presunto cadavere. E Thomas può non aver sentito il colpo d’arma da fuoco che ha ucciso l’uomo perché ha lasciato il parco dopo aver scattato la foto il cui ingrandimento rivelerà la presenza del cadavere al riparo dagli sguardi, allungato sotto un albero. Assenza di suono che solo l’immagine tenterà di colmare.
QUANDO SCOPRE il cadavere dell’uomo che sembra attestare l’esistenza reale di quanto l’ingrandimento fotografico costituiva l’i nd i zi o , Thomas rimane attonito, pare non credere ai suoi occhi, si rannicchia, osserva per un attimo il corpo, poi tende la mano verso il viso, lo sfiora con un dito per accertarsi della sua realtà, resta ancora un attimo come annichilito da quanto gli è stato rivelato, poi si alza e resta un altro attimo immobile, guardandosi attorno. Lo smarrimento del giovane, nella notte, nel mezzo del parco, accanto a quel cadavere, è uno smarrimento profondo: un vero stato di choc a fronte del reale. Thomas credeva di aver fotografato soltanto una giovane donna e un uomo mentre vivevano un momento d’amore clandestino in un parco, tuttavia, con ciò, aveva visto solo le apparenze di un simulacro, non aveva visto la messa in scena del delitto, la trappola dentro la quale la donna stava attirando l’uomo. Non solo. Guardando le foto scattate, non aveva visto subito le apparenze del delitto: la ma- no tra il fogliame che impugna il revolver, il cadavere dell’uomo coricato sull’erba tra i cespugli. E lo smarrimento del fotografo nel parco dopo la scoperta del cadavere non si cancella neppure nelle scene successive. Le quali lo mostrano mentre si aggira dentro un universo che non è più il suo, estraneo a quel mondo di simulacri di cui, con l’apparecchio fotografico e la ripresa della scena, è stato il regista. Thomas sembra essere in cerca di qualcuno con cui condividere quanto ha visto, con cui parlare della sua incredibile scoperta: la quale non può essere un’allucinazione, come farebbe pensare l’improvvisa comparsa e poi scomparsa della giovane seduttrice del parco, una donna che ha scorto poco prima in città. Ebbene, la persona con cui parlare la trova nella scena del party: è il suo agente, ubriaco, al quale chiede di accompagnarlo, perché veda quanto ha visto lui: il cadavere di un uomo assassinato. Thomas ha bisogno dello sguardo di un altro, di un testimone, per attestare quanto ha visto e per scambiare con lui parole che enuncino la verità di quanto avranno visto insieme, per far sì che l’esistenza di quanto ha visto da solo e persino toccato con mano sia fuori di dubbio, diventi vera. Senonché l’agente non intende seguirlo per accertare quella verità, preferisce restare preda dell’alcol e delle droghe, della musica e della seduzione dei simulacri.
Quando Thomas, da solo, tornerà di nuovo nel parco, il cadavere non ci sarà più (l’impronta rimasta sull’erba testimonia che il corpo dell’ucciso è stato davvero lì, allungato sotto quegli arbusti), verosimilmente prelevato dal killer, dalla giovane seduttrice e dai loro complici. E quando rientrerà nel suo studio, tutte le foto saranno state rimosse, verosimilmente asportate dai medesimi, guidati dalla giovane seduttrice del parco che si era già introdotta in casa sua per sedurlo, onde recuperare i negativi delle foto.
FINO A CHE, sempre da solo, Thomas assisterà alla famosa partita di tennis giocata con la palla invisibile, messa in scena da un gruppo di giovani mimi con la faccia truccata. E Thomas può essere spettatore della partita proprio perché la partita si rispecchia nel suo sguardo sconfitto, manipolato, risospinto nella solitudine del fotografo di simulacri. Per cui asseconda il simulacro della partita di tennis rilanciando in campo la palla invisibile caduta ai suoi piedi. Il gioco può continua- re, mentre il testimone, l’altro, gli altri marcano la propria assenza, l’impossibilità di uscire dalla sguardo solitario, di attestare la verità di apparenze diverse da quelle del simulacro.
È vero. Il reale sfugge, fugge via come un furetto. Ma qui il furetto è il testimone che non risponde all’appello, l’altro introvabile, isolato e pago dei simulacri di una società giunta al punto di isolare ciascuno nella cerchia dei propri bisogni e interessi di consumatore. È vero. I punti di vista strutturano un reale sempre destrutturabile. Ma la decostruzione deve poggiare su una verità condivisa, riconosciuta da più soggetti, non fantasmatica, non ideologica, libera dai pregiudizi. Una verità condivisa dalla parola e dall’azione di più soggetti, in modo da smettere di credere ai simulacri, non è forse sinonimo di politica? E un film che provoca negli spettatori il desiderio di uscire dalla loro muta solitudine per parlare, per confrontare, per condividere quanto hanno visto non è forse sinonimo di cinema? Blow Up, uscito nel 1966, diagnosticava già allora la disfatta della politica, del cinema, la disfatta del desiderio di parlare e di agire insieme.
© Luc Dardenne 2017 Traduzione di Sergio Arecco
Precursore del reale Diagnosticava già allora la fine della politica, del cinema, del desiderio di parlare e agire insieme Thomas ha bisogno dello sguardo di un testimone per attestare quanto ha visto e fare sì che ciò che ha visto sia fuori di dubbio