Il Fatto Quotidiano

Fiscal compact, la battaglia (quasi) impossibil­e del M5S

- » STEFANO FELTRI

Si può rivedere il Fiscal compacte così smontare i vincoli di austerità? Il convegno alla Camera di due giorni fa, ispirato dal Movimento 5 Stelle ma formalment­e no-partisan, ha chiarito la nuova linea M5S sulle questioni europee. Che non è più il referendum per decidere l’uscita dall’euro ma si riassume nella frase di Davide Casaleggio: “Il tema che dovrà essere sul tavolo della discussion­e è il Fiscal compact che in autunno vedrà l’Italia ratificarl­o o meno”.

FRASE CHE HA FATTO sollevare qualche sopraccigl­io, perché l’Italia ha già ratificato il trattato tra governi voluto dalla Germania nel 2012, con la legge 114 del 23 luglio di cinque anni fa. Il riferiment­o di Casaleggio è in realtà all’articolo 16 del trattato: “Al più tardi entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente trattato, sulla base di una valutazion­e dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzioname­nto dell’Unione europea le misure necessarie per incorporar­e il contenuto del presente trattato nell'ordinament­o giuridico dell’Unione europea”.

I cinque anni scadono nel 2017. Il Fiscal compact è nato come ircocervo giuridico, che voleva rafforzare (in modo un po’ridondante), la cosiddetta governance della zona euro appena approvata nel 2011. Quel combinato di regola- menti e direttive noti come six pack e two pack che sono alla base dell’austerità (e a cui il Fiscal compact rimanda, per esempio al regolament­o Ue 1177/2011 “per l’accelerazi­one e il chiariment­o delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi”).

L’IDEA DEI CINQUE STELLE e di molti degli economisti che ne condividon­o le idee – da Marcello Minenna (Consob) a Paolo De Ioanna (consiglio di Stato) – è che il mo- mento della discussion­e sul futuro del Fiscal compact è l’occasione per ripensarne radicalmen­te il contenuto. La leva negoziale dell’Italia sarebbe opporsi per impedire l’unanimità tra governi necessaria all’inseriment­o nei trattati europei del Fiscal compact. Con una posizione ferma, dicono gli economisti che ispirano il M5S, i partner dell’eurozona sarebbero costretti a concedere qualcosa. Per esempio a ripensare l’articolo 3, in base a cui il saldo struttural­e annuo della pubblica amministra­zione deve essere “pari all’obiettivo di medio termine specifico per il Paese, quale definito nel patto di Stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo struttural­e dello 0,5% del Pil ai prezzi di mercato”.

La gestione della politica di bilancio si è ormai strutturat­a quasi a prescinder­e dal Fiscal compact, i principi ribaditi nel trattato sono stati sempre derogati in un continuo negoziato tra singoli Stati (Italia in particolar­e) e Commission­e europea. La perenne richiesta di flessibili­tà è culminata nella comunicazi­one del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan di fare nel 2018 un aggiustame­nto struttural­e dello 0,3 invece dello 0,8 per cento concordato. Invece che modificare il metodo di calcolo – la formula dell’output gap, cioè quanto la crescita di un Paese è distante dal suo potenziale – la Commission­e ha scelto un approccio discrezion­ale. Chi si comporta bene ha sconti.

IL DIBATTITOs­ul Fiscal compact è molto italiano. A Bruxelles, già a febbraio, la discussion­e si è chiusa con l’approvazio­ne nel Parlamento europeo di tre risoluzion­i che indicano la linea dei gruppi di maggioranz­a all’inseriment­o del Fiscal compact nei trattati. Il rapporto Brok- Bresso ( Mercedes Bresso, del Pd) prevede “l’integrazio­ne delle disposizio­ni pertinenti del patto di bilancio ( Fiscal compact) (…) sulla base di una valutazion­e globale dell’esperienza acquisita nell’ambito della sua attuazione”. I 5Stelle avrebbero voluto che non ci fossero automatism­i: prima si valuta poi forse si decide, ma il Parlamento è andato in un’altra direzione. Proprio in quei giorni di febbraio, Matteo Renzi proponeva di rivedere il Fiscal compact. Mentre il suo partito votava il contrario. Nonostante questo, il trattato resterà uno dei temi della prossima campagna elettorale.

IL FISCAL COMPACT è un trattato tra governi, ispirato dalla Germania che nel pieno della crisi dell’euro voleva vincoli di bilancio più stringenti di quelli già presenti nelle regole europee. È stato ratificato dall’Italia nel 2012, ma gran parte delle sue disposizio­ni erano già previste dalle direttive e regolament­i europei (tuttora vigenti) noti come six pack e two pack

La linea a Bruxelles

A febbraio il Parlamento Ue ha votato per recepirlo e, solo dopo, fare qualche correzione La scheda

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LaPresse Nuovi guru Davide Casaleggio al convegno organizzat­o dal M5S

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