Il Fatto Quotidiano

IN BICICLETTA CON PLATONE

- » LEONARDO COEN

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Tour de France sprintano i velocisti, vanno in fuga i passisti, ci sono i finisseur a caccia di traguardi e gli scalatori che seminano il gruppo appena la strada s’impenna al cielo.

Poi, c’è l’esordiente normanno Guillaume Martin, 24 anni appena compiuti, pettorale 201. L’avatar del ciclista “nietzschia­no”. Un filo- sofo nel gruppo. Un ciclista intellettu­ale che ingloba tutti gli altri e li sorpassa, ha scritto Pierre Carrey di Libération , il suo mentore.

Nel curriculum di Guillaume, infatti, non ci sono (sinora) risultati prestigios­i in bicicletta. Però svetta un Master in filosofia, conseguito alla prestigios­a università di Parigi-Nanterre.

Con una tesi di 183 pagine sul filosofo tedesco (che peraltro morì nel 1900, tre anni prima della nascita del Tour): “Lo sport moderno: un’applicazio­ne della filosofia nietzschia­na?”. Nel senso ambiguo del Superuomo. del superament­o di se stessi. Insomma, Martin pedala sulle irte rampe della cultura, altro che Gigio Donnarumma, disertore della maturità, barattata con una banale vacanza a Ibiza...

GUILLAUME pesa appena 55 chili, dunque l’ideale per andar forte in salita: sinora è stato coi migliori, lui, che tiene Nietzsche nel manubrio e Platone in saccoccia. Studia e corre: il ciclismo è tra gli sport più duri ed esigenti. Come lo è la filosofia per la mente. Pedalare stanca. Le gambe. Non la mente. Anzi. Lo scorso ottobre Martin ha pure scritto una commedia, Platon vs Platoche, cioè Platone contro Platoche, alias Michel Platini, concepita per essere “istruttiva e buffa”. Andrà in scena nell’aprile del 2018, al Théatre de la Bodérie, in Bassa Normandia, diretto da sua madre che è attrice e regista. Tra i personaggi, un Socrate in veste mediatica Ventunesim­o secolo, un Diogene che salta fuori dalla sua botte per psicanaliz­zare selvaggiam­ente Platone, il protagonis­ta, “impietrito nelle sue frustrazio­ni”. L’intrigo, spiega Martin, si basa su una storia vera, e si “vedrà come Platone si accomoda male nella sua posizione di intellettu­ale solitario, appollaiat­o sulle sue nuvole. Come lascia trasparire da certi suoi scritti, avrebbe voluto essere un grande artista o un dirigente politico. O, perché no?, uno sportivo”.

È un ragazzo dotato di humour, preciso, attento, curioso e pulito, ma senza nevrosi igienista: così lo descrivono i compagni di squadra della Wan- ty-Groupe Gobert, formazione belga di secondo rango: tutti esordienti, nulla in confronto alla corazzata Sky, il Real Madrid del ciclismo. Non gli va, comunque, l’etichetta di corridore “n ie tz sc hi an o”. Non vuol essere innalzato su una “categoria-piedistall­o”, quasi a distinguer­lo dagli altri. Nel gruppo, una ventina d’anni fa si distinse il basco Pedro Horrillo, corridore pure lui laureato in Filosofia. Non scherziamo: “Io, nietzschia­no? Non è contro-nietzschia- no dirsi nietzschia­no?”, e qui ci si perde negli anfratti della logica e dell’illogica. In sella, per ora, se la cava. Nonostante la scoppola buscata alla cronometro di Düsseldorf che ha i- naugurato il Tour 2017, 167esimo, a un minuto e 42 da Geraint Thomas. Nella seconda tappa si è piazzato 25esimo, nella terza 16esimo, davanti a Fabio Aru. Il giorno dopo è arrivato col gruppo. Nella prima vera salita, quella della Planche des Belles Filles in cui ha trionfato Aru, si è piazzato 19esimo, e ora è 26esimo in classifica generale, quinto in quella dei giovani. La bicicletta, sostiene, è anche un attrezzo filosofico. “Una protesi della mente” per Walter Bernar- di, professore dell’università di Siena. Chiedergli cosa c’entra Nietzsche con lo sport è un invito a nozze: “I suoi concetti o miti trovano risonanza nello sport: la trasmutazi­one, anche se preferisco dire transvalut­azione, il sovrumano, la volontà di potenza, l’eterno ritorno...”. Il pensiero di Nietzsche, per Guillaume, propone una nuova relazione tra il corpo e lo sport, opposta a quella ereditata dalla cultura giudaica-cristiana, “ipocrita”, giacché “antepone l’etica dell’universali­smo, quando invece lo sport sottintend­e l’affermazio­ne del particolar­e”.

IN FONDO, la filosofia di Nietzsche permette di “pensare lo sport in maniera più autentica di quanto non lo permetta la morale che lo governa ai nostri giorni. Col mito nietzschia­no possiamo ritrovare i valori fondamenta­li dello sport: piacere del confronto, desiderio dell’affermazio­ne di sé... oggi travestiti da un’ideologia del fair play”. Di qui, ne discende il rifiuto del doping, l’uso cioè di prodotti di sintesi che hanno lo scopo di distrugger­e i limiti naturali del corpo umano, come scrive Martin nella sua tesi, elogiata dal rettore Jean-François Balaudé: “Esistono pochi lavori universita­ri che hanno quest’ampiezza nel trattare la filosofia dello sport”. In bici, orsù, con l’orgoglio di “continuare a volare con la mia follia!”. Così parlò Zarathustr­a.

Altro che Donnarumma Pesa 55 chili, finora è stato con i migliori Dopo una tesi su Nietzsche ha scritto la commedia “Platon vs Platoche” diretta dalla madre regista

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Da sinistra, Guillaume Martin e Gigio Donnarumma
Giovani talenti Da sinistra, Guillaume Martin e Gigio Donnarumma

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