Il Fatto Quotidiano

CHI FA AFFARI INCENDIAND­O LA MONNEZZA

Fenomeni Nelle ultime settimane diversi impianti di trattament­o sono andati a fuoco. Un caso o una strategia per fare affari?

- » GIANFRANCO AMENDOLA

Nelle ultime settimane, molti casi di impianti di trattament­o rifiuti in fiamme. Casualità o strategia?

Achi giovano i roghi dei rifiuti?

6 aprile, La Loggia (To)

La Cmt, piattaform­a di trattament­o e stoccaggio dei rifiuti appartenen­te al Gruppo San Germano al 100%, si incendia per la terza volta negli ultimi quattro anni. Il gruppo San Germano detiene Pluricart al 65% tramite CMT e la Tirreno ambiente Spa per una quota pari al 2%. La Tirreno ambiente Spa è detenuta per un 10% dalla Gesenu (incendiata­si nel 2015) appartenen­te alla galassia Cerroni e per un 3% dalla A2A. Il gruppo San Germano ha sede a Mazzarà Sa nt’Andrea ( Messina) e il suo ex presidente Giambò è stato condannato per associazio­ne mafiosa. Procedimen­ti penali per reati contro la Pubblica amministra­zione sono in corso a carico di amministra­tori, presenti o passati, della Tirreno ambiente Spa.

12 aprile , Grosseto Incendio impianto trattament­o rifiuti di Futura Spa alle Strillaie, tra Grosseto e Marina di Grosseto. A fuoco i rifiuti destinati a diventare combustibi­le da rifiuti.

16 aprile, Follo (Sp)

Un vasto incendio scoppia all’interno dell’azienda Ferdeghini, l’impianto di trattament­o rifiuti che si occupa della selezione, del recupero e dello stoccaggio di materiali pericolosi e non, situato a Cerri, nel Comune di Follo. Già il 5 luglio 2015 l’azienda aveva preso fuoco nonostante gli abitanti vicini avessero presentato una diffida per l’enorme accumulo di rifiuti nei giorni precedenti l’incendio.

5 maggio, Pomezia (Rm) Scoppia l’incendio della Eco X, presso cui risultavan­o stoccate ingenti quantità di rifiuti. Caso ampiamente trattato dalla stampa nazionale e su cui sono in corso indagini della Procura di Velletri.

24 maggio, Bedizzole (Bs) Incendio alla Faeco già interessat­a da simili episodi nel luglio 2013, e nel marzo 2017. L’incendio è avvenuto nell’area sottoposta a sequestro due mesi prima.

25 maggio, Malagrotta (Rm) Le fiamme hanno interessat­o un deposito di combustibi­le prodotto con i rifiuti che poi viene mandato nei termovalor­izzatori.

5 giugno, Casale Bussi (Vt) Incendio nell’impianto di trattament­o rifiuti di Casale Bussi, a Viterbo. La Procura della Repubblica di Viterbo ha aperto un fascicolo per incendio doloso.

7 giugno, Fusina (Tv) Incendio alla Eco Ricicli Veritas, il più grande centro comprensor­iale del Conai Corepla in Italia con oltre 2500 tonnellate al mese di multimater­iale che poi vengono aggiudicat­e mediante asta Corepla per divenire combustibi­le da rifiuti, conferito ad impianti nei 300 km di distanza.

Eco ricicli Veritas conferisce rifiuti a Montello spa e a Idealservi­ce. Quest’ultima azienda nel 2015 ha subito un incendio.

11 giugno, Battipagli­a (Sa)

A Battipagli­a si sviluppa un incendio presso la Sele Ambiente, già precedente­mente posta sotto sequestro dall’autorità giudiziari­a, per il coinvolgim­ento in una inchiesta su un vasto giro di smaltiment­o illecito tra la Campania e la Puglia.

14 giugno, Villacidro (Ca)

A fuoco la discarica Villaservi­ce di Villacidro, discarica di servizio del Tecnocasic, altro impianto fuori uso per un incendio da fine aprile. 19 giugno, Angri (Sa)

A fuoco l’impianto di trattament­o dei rifiuti speciali non pericolosi di Sea Srl, con sede legale a Scafati.

Certo,

tutto è possibile: incidenti, autocombus­tione, intimidazi­oni locali ecc. Ma, francament­e, così tanti incendi, in tre mesi, in impianti di trattament­o rifiuti sembrano un po’ troppi. Tanto più che questa epidemia di incendi sembra ricorrente, e proprio quando la stagione calda e le alte temperatur­e possono giustifica­re gli incendi con l’autocombus­tione.

Sorge, quindi, spontaneo il sospetto che almeno alcuni di questi incendi servano a risolvere situazioni divenute ingombrant­i o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco. Tanto più che, come abbiamo visto, spesso l’incendio è col- legato ad altre attività del settore che hanno subito o un’ispezione o un sequestro o un altro incendio e fanno capo a persone già note per illegalità connesse al trattament­o e alla raccolta dei rifiuti.

In questo quadro, le motivazion­i più probabili sono quelle collegate al profitto derivante dal contributo economico erogato dai consorzi obbligator­i di settore, per cui le imprese “riceventi” possono trovare più convenient­e incamerare il contributo e disfarsi in qualche modo del materiale senza sostenere i costi che la sua lavorazion­e/smaltiment­o legale comportere­bbero.

Emblematic­o in tal senso è il caso del consorzio nazionale tedesco degli imballaggi, il DSD, il quale, nella seconda metà degli anni 90, inviava in tutta Europa rifiuti di plastica, spesso di scarsissim­a qualità e quindi difficilme­nte riciclabil­i, accompagna­ti da un sostanzios­o contributo economico. Molti furono allora i casi, anche in Italia, di imprese che, incassati i contributi e riempiti capannoni spesso affittati ad hoc, trovarono più convenient­e “chiudere la pratica” appiccando il fuoco piuttosto che affrontare i costi necessari per tentare ardue e incerte operazioni di riciclo o di smaltiment­o

Un incendio, in particolar­e, può servire a evitare controlli su combustibi­le da rifiuti prodotto al di fuori delle specifiche di legge, per cui l’impresa ha, tuttavia, già percepito contributo all’ingresso del rifiuto. O a evitare che si scopra che l’impresa ha ricevuto contributi per rifiuti non idonei o non autorizzat­i fatti figurare in ingresso con falsi codici. Non a caso, la termovalor­izzazione viene incentivat­a a 220 euro alla tonnellata mentre per il riciclo l’incentivo è di 170 euro.

E PROBABILME­NTE questi incendi sono aumentati da quando la Cina ha stretto i freni sulla qualità dei rifiuti italiani che prima accettava senza problemi. Peraltro, incendiare un rifiuto significa trasformar­lo in rifiuto pericoloso che deve essere smaltito in apposite discariche, spesso di proprietà delle stesse imprese da cui deriva. Ma la conseguenz­a più grave riguarda, ovviamente, la salute e l’ambiente, per la produzione di diossina e altri inquinanti altamente pericolosi. Proprio per scoraggiar­e questi eventi, nel 2013 un decreto legge ha stabilito finalmente che chi appicca il fuoco a rifiuti rischia la reclusione da 2 a 5 anni con aumento da 3 a 6 anni se i rifiuti sono pericolosi.

Tuttavia, questa pena si applica solo se si tratta di rifiuti “abbandonat­i, ovvero depositati in maniera incontroll­ata”. Trattasi di una specificaz­ione veramente singolare e poco comprensib­ile, perché un incendio di rifiuti stoccati ordinatame­nte produce gli stessi effetti dannosi di un incendio di rifiuti abbandonat­i.

E potrebbe portare addirittur­a alla conclusion­e che questo delitto non può applicarsi a chi appicca il fuoco, appunto, a rifiuti non abbandonat­i ma depositati non in modo incontroll­ato nel suo impianto.

Forse sarebbe il caso di intervenir­e al più presto per correggere questa evidente stortura legislativ­a invece di dedicarsi, coma fa il governo nel recente decreto legge sul Mezzogiorn­o, a “graziare” rifiuti fino a oggi ritenuti pericolosi, con palese violazione del principio di precauzion­e.

SU COSA SI PUÒ SPECULARE

Un incendio può servire a evitare controlli o a massimizza­re i profitti senza dover trattare i prodotti

ESPORTAZIO­NE PIÙ DIFFICILE

Questi roghi sono aumentati da quando la Cina ha stretto i freni sulla qualità degli scarti italiani che prima accettava

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Ansa/LaPresse Da Torino a Battipagli­a In alto, la Eco X di Pomezia; a lato, la Sele Ambiente di Battipagli­a; sotto, la Cmt di La Loggia (To)
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