Il Fatto Quotidiano

Dell’Utri & C. stiano sereni: la condanna non è in discussion­e

Trambusto mediatico per conto terzi Nessun giudice, né della Suprema Corte né di Strasburgo, ha dichiarato l’innocenza dell’ex numero tre dei Servizi

- » ANTONIO INGROIA

Bruno Contrada è colpevole del reato di concorso esterno in associazio­ne mafiosa ed è stato perciò condannato in via definitiva a dieci anni di reclusione. Questo punto fermo non è stato per nulla intaccato dalla sentenza della Cassazione che tanto clamore ha destato ieri. È bene che sia chiaro a tutti e che non si cerchi di rovesciare la realtà, fattuale e processual­e. Perché, come da abusato copione, l’informazio­ne e la politica ufficiale hanno subito brandito in modo indegno quella sentenza per proclamare l’innocenza di Contrada. Una innocenza che nessun giudice, neppure la Cassazione, ha mai dichiarato. Ribadendo, anzi, il contrario.

Certo, la decisione della Cassazione sconcerta, perché i giudici hanno dichiarato ineseguibi­le una sentenza di condanna che non hanno revocato e che quindi rimane ferma nella sua dich iar azio ne ir revo cabi le di colpevolez­za. Aspettiamo le motivazion­i per capire meglio, ma dalla lettura del dispositiv­o una cosa è certa: la Suprema Corte si è pronunciat­a su un mero “incidente di esecuzione”, che non entra nel merito della condanna che resta irrevocabi­le, e si è limitata a prendere atto della pronuncia con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia a un risarcimen­to in favore di Contrada perché, secondo i giudici di Strasburgo, era stato condannato per un reato, il concorso esterno, oggetto di troppe oscillazio­ni giurisprud­enziali, al punto che l’imputato all’epoca dei fatti non potesse rendersi conto dell’illiceità della sua condotta.

Chi è Antonio Ingroia nel 1989 è stato sostituto procurator­e a Marsala con Paolo Borsellino, che poi lo volle con sé anche a Palermo nel 1992.

Con Caselli alla guida della Procura, Ingroia si è occupato di processi a Cosa Nostra e a pezzi dello Stato, tra questi il caso Bruno Contrada

HO GIÀ DEFINITO s tup ef ac en te quella sentenza della Corte europea, essendo palesement­e assurdo affermare che un alto funzionari­o dello Stato possa essere inconsapev­ole della illiceità del fatto di tradire lo Stato per trescare con la mafia. Resta comunque il fatto che né la Corte europea né la Corte di Cassazione di Roma hanno mai riconosciu­to che Contrada fosse innocente né tantomeno hanno revocato la sentenza di condanna ed è sbalorditi­vo che la stragrande maggioranz­a degli organi d’informazio­ne sostenga il contrario, contro ogni evidenza.

Si rassegnino allora quelli che vorrebbero strumental­mente usare la sentenza della Cassazione, come già avevano tentato di fare con la pronuncia della Corte europea, per rimettere in discussion­e la condanna definitiva di Marcello Dell’Utri e degli altri complici della mafia anch’essi condannati con sentenze definitive e che stanno scontando la loro pena. Perché è fin troppo chiaro che il trambusto mediatico che si è fatto in passato, che si fa oggi e che sicurament­e sarà fatto in futuro riguarda Contrada, ma si preoccupa di altri. A cominciare da Dell’Utri: lo si vuole tirare fuori dal carcere nel timore che possa raccontare i tanti segreti che ancora custodisce sui rapporti che per anni Cosa nostra ha tenuto con un certo mondo della politica e dell’imprendito­ria, in particolar­e su quelli, mai chiariti, con Silvio Berlusconi.

Del resto, a quella condanna non si è arrivati per accaniment­o giudiziari­o, come pure vaneggiano in tanti. È un fatto inoppugnab­ile che nonostante i ripetuti appelli, gli innumerevo­li ricorsi in Cassazione e alla Corte europea, circa una quarantina di giudici italiani – tra giudici per le indagini preliminar­i, giudici del Tribunale della Libertà di Palermo, giudici della Cassazione in sede cautelare, giudici del Tribunale di primo grado di Palermo, giudici della Corte d’Appello di Palermo e ancora giudici della Cassazione, hanno riconosciu­to prove granitiche di colpevolez­za e per questo Contrada è stato condannato a pena definitiva. Una convergenz­a di elementi di natura eterogenea solidissim­i: dichiarazi­oni, tutte accuratame­nte riscontrat­e, di tanti collaborat­ori di giustizia di primissimo livello come Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Salvatore Cancemi; testimonia­nze autorevoli e al di sopra di ogni sospetto come quelle dei compianti giudici Antonino Caponnetto e Mario Almerighi, dell’ex procurator­e federale svizzero Carla Del Ponte, di alcune vedove di mafia come Gilda Ziino, moglie dell’i nd ustriale Roberto Parisi, e Laura Cassarà, moglie del capo della squadra mobile di Palermo, uno dei tanti poliziotti uccisi anche a causa dell’isolamento in cui si sono trovati per colpa di funzionari dello Stato infedeli come Contrada. E, ancora, diverse prove documental­i dei trattament­i di favore nei confronti di mafiosi, come il rilascio della patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco, dei segreti d’indagine rivelati a Cosa nostra.

Fatti, non congetture. Tutti puntualmen­te dimostrati. Ora si vuol far passare Contrada per una povera vittima innocente costretta a farsi dieci anni di ingiusta galera. Ma la verità è un’altra ed è quella scritta nelle sentenze di condanna, che né la Corte europea dei diritti dell’uomo né la Cassazione hanno messo in discussion­e.

Il dispositiv­o

La pronuncia non entra nel merito della sanzione che resta irrevocabi­le

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Il “Palazzacci­o”, sede della Corte di Cassazione a Roma. A sinistra, l’ex pm Antonio Ingroia
Ansa Giustizia Il “Palazzacci­o”, sede della Corte di Cassazione a Roma. A sinistra, l’ex pm Antonio Ingroia

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