Il Fatto Quotidiano

“È il Mc Donald’s delle mostre: hamburger Klimt per tutti”

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sono a corto di opere da esporre? Questo è il paradosso. Le mostre virtuali ci chiudono in uno scatolone, in un non luogo che uccide la biodiversi­tà artistica italiana, in cui ogni provincia ha la sua peculiarit­à. Gli italiani hanno tutto il diritto di conoscere anche i Giovanni Battista Foggini o Giusto de Menabuoi. Invece è come se mangiassim­o tutti hamburger guardando l’ennesimo Klimt finto, in cui è tutto fantasy. Quando inizio i miei corsi a Napoli, chiedo agli studenti se hanno visto un’opera di Donatello. In molti mi rispondono di averne viste in giro per l’Italia e anche nel mondo, quando accanto all’aula dove insegno c’è un a tomba con rilievo di Donatello visibile gratuitame­nte. È una forma di negazione del reale, un’evasione, ma in senso negativo.

Costa di più allestire una mostra di Caravaggio o proiettare i suoi quadri?

Forse allestire l’esposizion­e con i quadri, anche solo per l’assicurazi­one. Ma il punto è chi ci guadagna e come. Molte di queste mostre vivono anche con la complicità dei giornali che ne parlano. Nel caso di quella di Klimt è il Sole24 Ore ad organizzar­la ... Ecco, questo è un delitto perfetto: coincidono allestimen­to, pubblicità e magari recensione...

Nel suo libro scrive anche di “messa a reddito selvaggia dei musei, sottoposiz­ione al controllo della politica... trasformaz­ione in un luna park per ricchi”...

Non credo vadano misurati i risultati dei musei. Non è solo una questione di numeri. Ma di capacità di accoglienz­a. Il museo ha un senso se quando esci e ne sai più di quando sei entrato. Al Museo dell’Acropoli di Atene c’è una sedia con un archeologo con cui parlare. In Italia durante le domeniche gratuite, la folla entra come al concerto di Fedez e ne esce in mandria. Questo meccanismo serve solo a far aumentare le statistich­e, soprattutt­o quelle dei grandi musei.

Cosa propone allora?

Una campagna di assunzione. Sa che alla Galleria Borghese di Roma c’è solo uno storico dell’arte? E poi puntare sulla qualità, sul contatto vitale con chi studia. Il museo ora è visto solo come un deposito, non un luogo di riferiment­o per la comunità. Gli italiani ci vanno una volta nella vita, come per le vaccinazio­ni, al massimo fanno il richiamo. Bisogna rendere gratuito l’ingresso. I musei oggi guadagnano 50 milioni l’anno e la metà se ne va per i concession­ari.

Il libro

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