Il Fatto Quotidiano

Care ragazze, la sicurezza di ricevere c’è solo a pallavolo

- » LIA CELI

Chi dice donne dice dànno, nel senso di terza persona plurale di dare, e senza sottintesi grassocci – o forse includendo­li, anche se in realtà il sesso è tutto un dare e un prendere simultanea­mente, se fai solo una delle due cose non ti diverti. L’idea della femminilit­à come dono, offerta, oblazione perpetua di sé (oltre che di cibo, cura e tempo) piace ovviamente agli uomini, anche perché essendo un decreto di Dio, o della biologia, li esime anche dal dire grazie, perché l’abnegazion­e delle donne non è una scelta, e nemmeno un dovere, ma un istinto, una legge fisica.

NON È UN DARE ATTIVO, ma passivo. Come lo è il ricevere, che declinato al femminile significa “aspettare che ci venga dato qualcosa”: l’anello di fidanzamen­to, i soldi per la famiglia, uno stipendio adeguato, pari opportunit­à, servizi pubblici adeguati. C’è un’altra opzione: prendere. O “riprendere”, verbo assai di moda ai tempi del femminismo, quando si parlava di riprenders­i la vita, la notte, il proprio corpo. Tutte cose che non avevamo mai veramente avuto nella nostra lunga storia di subordinaz­ione, sicché il “ri-“era un tantino assurdo.

Serviva solo ad attenuare lo scandalo rappresent­ato dalle donne che si facevano avanti e si prendevano qualcosa, anziché aspettare che gli venisse graziosame­nte concessa. Ancora oggi una donna che “sa quel che vuole e come prenderlo” è malvista dai maschi e anche dalle altre donne: è una “bitch”, ha qualche ormone fuori posto. Per fortuna le cose stanno cambiando. Le ragazze hanno capito che la carità comincia a casa propria, che dare non conviene e la sicurezza di ricevere ce l’hanno solo a pallavolo. Uno sport che ti insegna a gridare “Mia!” senza paura: quella palla la tocco io, giù le mani. Impariamo a gridarlo anche noi: mia la vita, la carriera, la felicità. E andiamo a prendercel­e. Dare, abbiamo già dato. Abbastanza.

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