Care ragazze, la sicurezza di ricevere c’è solo a pallavolo
Chi dice donne dice dànno, nel senso di terza persona plurale di dare, e senza sottintesi grassocci – o forse includendoli, anche se in realtà il sesso è tutto un dare e un prendere simultaneamente, se fai solo una delle due cose non ti diverti. L’idea della femminilità come dono, offerta, oblazione perpetua di sé (oltre che di cibo, cura e tempo) piace ovviamente agli uomini, anche perché essendo un decreto di Dio, o della biologia, li esime anche dal dire grazie, perché l’abnegazione delle donne non è una scelta, e nemmeno un dovere, ma un istinto, una legge fisica.
NON È UN DARE ATTIVO, ma passivo. Come lo è il ricevere, che declinato al femminile significa “aspettare che ci venga dato qualcosa”: l’anello di fidanzamento, i soldi per la famiglia, uno stipendio adeguato, pari opportunità, servizi pubblici adeguati. C’è un’altra opzione: prendere. O “riprendere”, verbo assai di moda ai tempi del femminismo, quando si parlava di riprendersi la vita, la notte, il proprio corpo. Tutte cose che non avevamo mai veramente avuto nella nostra lunga storia di subordinazione, sicché il “ri-“era un tantino assurdo.
Serviva solo ad attenuare lo scandalo rappresentato dalle donne che si facevano avanti e si prendevano qualcosa, anziché aspettare che gli venisse graziosamente concessa. Ancora oggi una donna che “sa quel che vuole e come prenderlo” è malvista dai maschi e anche dalle altre donne: è una “bitch”, ha qualche ormone fuori posto. Per fortuna le cose stanno cambiando. Le ragazze hanno capito che la carità comincia a casa propria, che dare non conviene e la sicurezza di ricevere ce l’hanno solo a pallavolo. Uno sport che ti insegna a gridare “Mia!” senza paura: quella palla la tocco io, giù le mani. Impariamo a gridarlo anche noi: mia la vita, la carriera, la felicità. E andiamo a prendercele. Dare, abbiamo già dato. Abbastanza.