Una dieta davvero rivoluzionaria: mangia poco e bene
Si potrebbe cominciare osservando ciò che si mangia, per scoprire che la cofana di spaghetti serale rasenta l’etto e mezzo e i fuori pasto sono troppi. E provare di conseguenza a ridurre semplicemente la quantità dei cibi. Poi si potrebbe riflettere sul (non) moto fatto ogni giorno, e capire che segnarsi alla palestrina sotto casa o qualsiasi altra struttura che ci metta in movimento è più indispensabile che l’ossessiva pesata dei cibi o il martellante studio delle loro combinazioni. Tutto questo senza consultare alcun nutrizionista, ormai una specie più inflazionata dei comunicatori, o la figura di moda del momento, il “biologo molecolare”. Invece no.
Il buon senso ormai sembra non appartenere al mondo delle diete, che al contrario devono essere basate sulla scoperta scientifica del momento, prevedere un complicato accostamento degli alimenti che ne escluda forzatamente alcuni ( quelli “c a t t ivi”), costringere infine l’illuso “dimagrando” che solo acquistando costose barrette e polverine sostitutive otterrà i risultati sperati. Così la dieta, più che in un regime alimentare, si trasforma in religione, con i suoi riti, i suoi divieti, le sue illusorie speranze, i suoi guru, da cui gli obesi – ma spesso anche gente normale, convinta che cambiando regime alimentare potrà essere quasi immortale – si recano in pellegrinaggio, pronti però a tradire il loro santone non ap- pena incontrano l’amica che è dimagrita più di loro. Eppure basterebbe uno sguardo d’insieme per capire che se esistono più diete che religioni, con alimenti che in alcune sono demonizzati e in altre celebrati, qualcosa non torna.
C’È LA DIETA DETOX, quella del digiuno intermittente, la dieta senza glutine, la dieta crudista, quella fruttariana, la paleodieta, la tisanoreica, la dieta a zona, quella dell’indice glicemico, la dieta del gruppo sanguigno, quella che si basa sul Dna, la dieta degli enzimi e via dicendo. E poi certo, ci sono gli specialisti che sostengono che serva piuttosto un mangiare consapevole, un “mindful eating”, declinato in vari modi: ma la sostanza cambia poco, se bisogna sempre rivolgersi a qualcuno, tirare fuori i soldi, seguire un programma. Così se da un lato celebriamo il nostro sé in ogni modo, creden- doci autonomi e onnipotenti, dall’altro abbiamo disperatamente bisogno di qualcuno che ci dica quanti grammi mettere nel piatto. Eppure basterebbe guardare indietro.
Mio nonno faceva tre pasti frugali, con verdura e vino rosso. E tutti i giorni camminava: è morto magro oltre i novanta senza aver mai acquistato un decotto tisanoreico né chiesto all’amica su Facebook il numero del suo nuovo maestro che, togliendo magicamente questo o quell’alimento, sarebbe riuscito a farla dimagrire. Inverosimile e pericoloso.
Ma nel mondo delle diete tutto è possibile perché i controlli non esistono. Così fantomatici esperti continuano a imporre spaghetti a colazione e solo melanzane a cena, senza che l’adorante paziente riesca a rendersi conto che il vero ingrediente escluso è il più importante: il senso della realtà.
Probabilmente Donald Trump deve sentire su di sé il peso di quella virilità di cui incnosciamente teme di aver spogliato l’America. Eh sì, perché il brand “America first”, ha costretto il tycoon a rinunciare al mito degli Stati Uniti come potenza inseminatrice che punta a spargere il suo seme valoriale, economico e militare per ogni dove, fecondando la terra di americanitudine. Sarà per questo che ogni occasione per far vedere che ce l'ha più duro della Lega ai tempi di Bossi, per il Presidente non può essere sprecata. L'ultimo tentativo di impressionare i suoi cittadini con un'ostentazione di rigidità fallica consiste in un videomontaggio, da lui stesso twittato, nel quale Donald il macho si mostra mentre mette al tappeto un uomo con il volto coperto dal logo della Cnn. Tradotto: lui è così maschio che la stampa la fa nera. A dire il vero, in barba all'esibizione erettile, l'unico elemento davvero duro ravvisabile in tutta l'operazione è il comprendonio di Trump, che più si rende grottesco meno sembra rendersene conto.
DURI A CAPIRE
“Ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare ma non raccontare a me che cos'è la libertà”: per suggellare definitivamente la linea della saccenza onnipotente, Matteo Renzi, in direzione Pd, ha zittito le argomentazioni dissenzienti di alcuni esponenti prendendo addirittura in prestito le parole di una delle più belle canzoni di Francesco Guccini. Due cose, ci pare d’obbligo, far notare al segretario: la prima, rimanendo nella medesima canzone, è che “ci vuole scienza, ci vuol costanza ad invecchiare senza maturità”', e la seconda è che la libertà di ognuno finisce dove comincia quella dell'altro.
LIBERO DI CHE? BICICLETTE EUROPEE VERITA' TITANICHE
“L'Europa si stava risollevando. Possibile che Francia, Spagna, Austria non si rendano conto dei danni irreparabili dei loro gesti di oggi?”: quando persino un europeista convinto come Enrico Letta è costretto a mettere in dubbio la reale volontà di costruire un progetto politico condiviso vuol dire che è davvero arrivato il momento di porsi delle domande. Sono questi i momenti in cui quelli che ci credono “Abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale”: difficile gridare al buonista che parla senza fare i conti con la realtà quando ad aprire bocca è chi per mestiere deve far tornare i numeri. La voce fuori dal coro che riporta un filo di continuità e ragionevolezza nel dibattito stroboscopico e convulso di questi giorni sull'immigrazione, infatti, è del presidente dell'Inps. Tito Boeri, secondo lo stile che lo contraddistingue, non ha paura di gettare un'impopolare secchiata d'acqua fredda sul tema più caldo dell'estate: “I nostri dati ci dicono che gli immigrati oggi in Italia pagano molto di più di quanto ricevano, tenendo conto di versamenti e prestazioni durante l’intero arco della vita”. Per fortuna, qualcuno che sa come stanno le cose e ha addirittura il coraggio di dirlo, esiste ancora.