Miss San Giacomo e il Moncler
“Dieci piccoli infami”, da oggi in libreria
Quella
notte non dormii. Il mattino dopo chiamai i miei genitori dalla cabina a gettoni e comunicai loro entusiasta che mi avevano chiesto di partecipare a un concorso di bellezza. Il fatto che la popolazione femminile tra i quindici e i venticinque anni a San Giacomo di Roburent fosse composta al massimo da venti ragazze di cui forse solo la metà esteticamente competitive, non lo avevo neppure preso in considerazione. Mi sentivo lusingata come se mi avessero scelta tra settecento modelle internazionali per diventare il nuovo angelo di Victoria’s Secret. Arrivai in discoteca alle 23,00 in punto. Indossavo l’unica minigonna che possedevo, una maglietta a righe con lo scollo a barca e un paio di All Star rosa. Mi sentivo Vanessa Paradis in Joe le taxi. Gaia e Fabrizio mi aspettavano già lì, pronti a tifare per me.
Fuori dal locale c’era la più lunga fila di persone mai avvistata in paese dopo quella all’unico panificio alle otto e trenta del mattino, naturalmente. Pare che fossero arrivate un sacco di persone pure dai paesi circostanti, anche perché da quelle parti, più che la sagra del fungo prataiolo e un concerto di Nico e i gabbiani, ad agosto non succedeva nulla. In realtà, a guardarli bene, i miei amici non avevano la faccia elettrizzata da claque.
“Che succede?” domandai perplessa.
“Senti, fai ancora in tempo ad andare a casa. Si è presentata anche Roberta Vareschi, partecipa al concorso” mi avvisò Gaia. La mia cotonatura si sgonfiò come un palloncino al sole. “Ma, ma... fa la modella, è famosa, cosa le importa di vincere Miss San Giacomo di Robu rent?” replicai io improvvisamente avvilita. Intervenne Fabrizio, che per l’occasione aveva una maglia del Genoa col nome di Gianluca Signorini sulla schiena e mi guardava come fossi una dea: “Boh! Non lo so cosa gliene freghi, comunque tu sei più bella di lei e anche se qualcuno non lo capirà la seconda classificata vince un buono da 100.000 lire da spendere al negozio di sci, io al posto tuo parteciperei”. Per la cronaca, il primo premio era un televisore Grundig 12 pollici, che nel 1989 era come dire un plasma 3D Bang & Olufsen.
Gaia non era d’accordo: “Le arrivi all’ombelico e poi lei è una donna, tu sembri sua figlia... dai andiamo a farci un giro sui calci in culo che a mezzanotte chiudono, perché devi dare soddisfazione a quella stronza di arrivare seconda o addirittura terza...”.
Già, perché pure la figlia del gelataio del corso non era male, c’erano dei miei amici che si facevano fuori anche dodici coni al pistacchio a pomeriggio pur di essere serviti da lei e in più era una bellezza locale, per cui fino a quel momento l’avevo ritenuta la competitor più temibile
( anche perché la giuria era interamente com- posta da sindaco e assessori locali).
“Guarda che al negozio di sci sono arrivati i Moncler arancioni per l’inverno... non sarebbe male come premio di consolazione!” disse Fabrizio. Avevo sempre desiderato il Moncler, ma mia madre si ostinava a comprarmi un piumino tarocco che si chiamava Limoncler (...). Le altre nove concorrenti erano, nell’ordine:
1) Maria Giovanna, una diciassettenne di Savona piuttosto carina ma con una forma di acne virulenta che aveva coperto con sei centimetri di fondotinta Deborah che si stava sciogliendo inesorabilmente.
2) Lucia, una ragazzina che dichiarava quindici anni ma ne dimostrava undici e aveva il cotone che le sbucava dal reggiseno viola sotto al top di pizzo.
3) Margherita, la figlia dell’unico elettricista del paese, noto alle cronache perché era riuscito a far ripartire i calci in culo la sera di Ferragosto ed era stato portato in spalla come il santo patrono.
4) Una ragazza biondissima mai vista prima a San Giacomo e squalificata prima dell’inizio della gara perché segnalata come in vacanza a Mondovì e dunque infiltrata.
5) Sua sorella, squalificata pure lei.
6) La figlia del gelataio, che per l’occasione indossava una T-shirt tagliata sopra l’ombelico con su scritto“Gelateria Fratelli Fontana”.
7) Una ragazza che era alta quanto il Grundig in palio e aveva una peluria sulle braccia che Diego Abatantuono in confronto era glabro.
8) Una procace imperiese di nome Luna che dichiarava venticinque anni ma probabilmente intendeva dire che aveva venticinque anni di matrimonio alle spalle.
E infine lei, Roberta Vareschi, che per l’occasione indossava un abito verde smeraldo che le arrivava appena sotto al sedere e quattordici centimetri di tacco che erano tutto fuorché una scelta estetica: Roberta Vareschi, col suo metro e ottanta scalza e l’aggiunta di quei quattordici centimetri che la rendevano la terza cima più alta delle Alpi piemontesi, desiderava indubitabilmente umiliarci. Accanto a lei, noi altre sembravamo i nani accanto a Biancaneve. Avrebbe vinto anche se si fosse presentata con gli zoccoli olandesi, con i calzari del Ris, con i piedi palmati, ma non le bastava vincere. Doveva farci sentire ridicole, ruspantelle, inconsapevoli dei nostri limiti. Cosa che in effetti le riuscì benissimo.
L’umiliazione si perpetrò per tutto il resto della serata. Noi sfilavamo davanti ai giudici con l’andatura dei granatieri di Sardegna, lei ancheggiava con la leggerezza di un fuscello. Noi eravamo vestite come delle ragazze di paese appena scese da un cubo, lei come una ragazza di mondo appena scesa dalla scaletta di un aereo. Lei, interrogata dalla giuria di politici locali su cosa volesse fare da grande o su cosa la preoccupasse del mondo, rispondeva “Vorrei occuparmi di moda, settore lusso” e “Quello che mi preoccupa del mondo è che dopo Chernobyl si consideri ancora l’energia nucleare sicura”. La figlia del gelataio, alla domanda “Parliamo di America, ti piace Bush?”, rispose “Il blush mi piace ma preferisco sempre chiamarlo fard”. L’imperiese procace, alla domanda “Se ti potessi reincarnare in un personaggio del passato chi ti piacerebbe essere?”, rispose “Adolf Hitler, così potrei smettere di farmi la ceretta ai baffi che mi fa irritazione”. Io, alla domanda “Qual è il tuo attore preferito?”, dissi “La pace nel mondo” perché mi ero preparata quella risposta per non sbagliare.
Insomma, Roberta Vareschi ci aveva fatte sentire un’armata Brancaleone di aspiranti reginette di bellezza. Durante l’ultima passerella, gli applausi tiepidi riservati a noi altre e il tripudio riservato a lei ci avevano dato il colpo di grazia. Sedevamo sconsolate dietro ai séparé luccicanti in attesa del verdetto con l’unica curiosità di scoprire a chi sarebbe andato il buono per il Moncler arancione. (…)
ESTATE 1989 Fuori dal locale c’era la più lunga fila di persone mai avvistata in paese dopo quella all’unico panificio alle otto e trenta del mattino Senti – mi disse Gaia – fai ancora in tempo ad andare a casa
Si è presentata anche lei, partecipa al concorso