4,7 milioni di poveri. La Cei attacca Matteo sui migranti
Nel 2015- 2016 il numero di indigenti è rimasto a livelli altissimi. Il motivo: non sono stati toccati dai Bonus di Renzi (finanziati con tagli al welfare)
La povertà assoluta in Italia è “stabile”, ma a livelli enormi: a certificarlo, i dati diffusi ieri dall’Istat che fotografano anche il fallimento delle politiche degli ultimi tre anni e degli annunci futuri. Resta solo il “Reddito di inclusione”: approvato quest’anno, arriverà solo nel 2018. E gli stanziamenti non sono abbastanza.
I DATI. Nel 2016 si stima siano state 1,6 milioni le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta (al di sotto di quella che è considerata la soglia minima di accettabilità, variabile in base a diversi fattori, dall’età alla posizione geografica), ovvero almeno 4,7 milioni di individui. E se rispetto al 2015 c’è una sostanziale stabilità in termini di numeri, cambia la sua composizione. Diventano sempre più povere le famiglie con tre o più figli minori e si passa dal 18,3 per cento del 2015 al 26,8 per cento. Di conseguenza, aumentano le condizioni di povertà assoluta dei minori: 1,3 milioni (dal 10,9 al 12,5 per cento). È di qualche giorno fa, poi, il rapporto Global wealth 2017 - elaborato dalla società di consulenza finanziaria Boston Consulting Group - secondo cui, in Italia, 307 mila famiglie ( l’ 1,2 per cento) detengono il 20,9 per cento della ricchezza finanziaria. Stabile anche la povertà relativa (difficoltà economiche in rapporto al livello economico medio di vita del contesto di riferimento) che riguarda il 10,6 per cento delle famiglie: il totale fa 8,5 milioni di individui.
LE POLITICHE. Una stabilità tragica, che dimostra il fallimento delle politiche degli ultimi tre anni. Il primo attacco all’operato del governo Renzi, ieri, è arrivato da Forza Italia: “Che effetto hanno prodotto gli 80 euro e il Jobs Act?” ha detto la deputata forzista, Elvira Savino. Il bonus Irpef introdotto nel 2014, non solo non era destinato agli incapienti, ma era anche compensato da tagli agli Enti locali che si sono tradotti in tagli al welfare e ai servizi per le fasce più deboli. Dalla riduzione dei fondi sociali (-50 milioni per la non autosufficienza, che riguarda disabili, malati gravi e familiari che li assistono) ai 211 milioni sottratti alle politiche speciali, il cui fondo è passato da 311 a 99 milioni (-67%) che serve a finanziare, fra le altre cose, asili nido, misure di sostegno alle famiglie più povere, assistenza domiciliare e centri anti-violenza. Alle Regioni sono stati imposti tagli per circa 12 miliardi nel 2014-2020 di cui 1,7 miliardi sottratti al fondo enti territoriali e 485 milioni al sociale. Il fondo per l’erogazione gratuita dei libri scolastici alle famiglie bisognose ha perso 70 milioni (su 103), quello inquilini morosi incolpevoli altri 50, stessa cifra per i contributi all’edilizia scolastica mentre quella sanitaria ne ha persi 100 (-50%). E ancora, altri tagli alla sanità: 2 miliardi in meno solo nel 2016 e 3 miliardi tolti alle Province. Come se non ba- stasse, la ricetta per il futuro proposta dall’ex premier è il taglio delle tasse che, però, ha un moltiplicatore (il numero che calcola l’impatto che una manovra di finanza pubblica avrà sul Pil) basso: in sintesi, i 30 miliardi l’anno che si otterrebbero col maggior deficit prospettato da Renzi non riuscirebbero a invertire il trend. La situazione potrebbe migliorare se la spesa pubblica si concentrasse sui consumi o gli investimenti. Peccato che siano in calo dal 2007.
REDDITO DI INCLUSIONE. L’unico sostegno alla povertà che potrebbe rivelarsi efficace è stato approvato nel 2017 e sarà possibile richiederlo a partire dal 2018: è il cosiddetto “reddito di inclusione” in s er it o nella legge di Stabilità. Riconosciuto alle famiglie con un reddito non superiore a 6mila euro e un valore del patrimonio immobiliare non superiore a 20mila, prevederà dai 190 euro mensili per una persona sola a quasi 490 euro per un nucleo con 5 o più componenti. Il ministro del lavoro Poletti ha parlato di stanziamenti pari a 1,15 miliardi per il 2017 (destinati però al Sia, “Sostegno per l’inclusione attiva”, una misura ponte il cui avvio è stato lento e farraginoso) e 1,7 per il 2018. Non abbastanza: l’Alleanza contro la povertà, che ha promosso il Rei, calcola una spesa complessiva di 7 miliardi di euro l’anno per raggiungere tutti i 4,7 milioni di poveri assoluti. “I dati oggi - spiega Cristiano Gori, professore di Politiche sociali all’Università di Trento, ma anche coordinatore scientifico dell’Alleanza contro la povertà - vanno confrontati con il 2007 quando la povertà assoluta riguardava 1,8 milioni di individui. Siamo a livelli mai raggiunti. Questa legge è in ritardo, ma è un primo passo. Con la prossima legge di bilancio, si deve fare il secondo: il governo dice che nella migliore delle ipotesi, l’anno prossimo, con il Rei si possono raggiungere 1,8 milioni di poveri. E gli altri?
Troppo tardi e poco Il reddito di inclusione partirà solo nel 2018: fino a 500 euro per 1,8 milioni di persone