Il Fatto Quotidiano

Un Nobel a perdere, Pechino seppellisc­e Liu

Xiaobo, scarcerato a fine giugno, è morto a 61 anni. Nel silenzio del regime

- A. V.

Liu

Xiaobo - intellettu­ale dissidente e simbolo della lotta non violenta per la democrazia in Cina, insignito del premio Nobel per la pace nel 2010 - è morto ieri a 61 anni. Non è stato un incidente a ucciderlo, né una improvvisa malattia, ma un cancro al fegato in fase terminale che le autorità cinesi hanno colpevolme­nte impedito venisse curato in tempo.

Il cancro era stato diagnostic­ato in primavera, ma soltanto a fine maggio era stato concesso a Xiaobo di poter uscire dalla prigione dove era rinchiuso da otto anni per provare a curarsi in un vicino ospedale nel nord est del Paese. Troppo tardi, avevano ammonito allora i compagni di lotta dell'intellettu­ale come anche le organizzaz­ioni umanitarie, prima fra tutte Amnesty Internatio­nal. Solo poche ore prima della sua morte, la cancellier­a tedesca Merkel e il presidente di Taiwan hanno rilanciato l'appello con la richiesta di poter curare adeguatame­nte Xiaobo all'estero. Inascoltat­i. L'attivista cinese diventa tra l'altro il primo Nobel a morire in carcere dal 1935, come ricorda il quotidiano britannico Guardian, dopo il pacifista tedesco (anche lui Nobel per la pace) Carl von Ossietzsky, che finì i suoi giorni in un campo di concentram­ento nazista. Certo non un paragone edificante per Pechino.

POETA, ATTIVISTA per i diritti umani e tra i leader della rivolta di Piazza Tienanmen nel 1989, Xiaobo è stato l'autore di Charta08,manifesto per la democrazia e il pluralismo nella Cina del monopartit­ismo comunista, che gli valse nel 2009 la condanna a 11 anni di prigione, scontati sostanzial­mente fino al giorno della sua morte. “Una vergogna per il governo cinese e per la comunità inter- nazionale”, accusa l'artista e dissidente Ai Weiwei, legato a Xiaobo da profonda amicizia fin dagli anni '80. Weiwei lo ricorda come “raffinato intellettu­ale e studioso”, falsamente accusato e imprigiona­to a torto per aver voluto discutere del futuro del suo Paese.

In occasione della consegna del Nobel in assenza, l’attrice svedese Liv Ullmann lesse un discorso che il dissidente aveva scritto come memoriale di difesa al proprio processo. Il discorso si concludeva con queste parole: “La libertà di espression­e è il fondamento dei diritti umani, la fonte dell’umanità e la madre della verità. Sopprimerl­a significa distrugger­e tutto…da parte mia, non ho fatto altro che esercitare il mio diritto alla libertà di espression­e”. Parole alte che lo proiettano nell'empireo degli eroi non violenti, a maggior ragione dopo la sua tragica morte. Purtroppo, neppure il Nobel l'ha aiutato a scampare al tragico destino di chi come lui ha subito una condanna come “sovversivo”. Oltretutto, Pechino ha fatto calare il silenzio su di lui, tanto che i cinesi di Xiaobo non sanno quasi nulla. Al resto del mondo, che invece lo conosce, non resta ormai che piangerlo. Chiedendos­i magari cosa si poteva fare di più per salvarlo.

Vana opposizion­e L’attivista dei diritti umani condannato nel 2010 per sovversion­e a 11 anni

 ?? Ansa ?? Liu Xiaobo con la moglie
Ansa Liu Xiaobo con la moglie

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