Il Fatto Quotidiano

“Minacce a cronisti e giudici, Cosa nostra sta rialzando la testa”

Piergiorgi­o Morosini Già pm a Palermo e oggi membro del Csm: “I clan hanno la necessità di riaffermar­e la presenza sul territorio”

- » ANTONELLA MASCALI

Piergiorgi­o Morosini, consiglier­e togato al Csm ( Area, sinistra) ha chiesto in Plenum di inviare una delegazion­e di Palazzo dei Maresciall­i a Palermo, preoccupat­o di una serie di fatti, emblematic­i di un’alzata di testa di Cosa Nostra. La sua analisi è frutto di un’esperienza ventennale, come giudice antimafia a Palermo. Tanti i processi di cui si è occupato, l’ultimo, come gip, prima di essere eletto al Csm, quello sulla Trattativa. Consiglier­e che sta succedendo?

C’è stato un segnale bruttissim­o la settimana scorsa di una minaccia a un gip (Nicola Aiello, ndr), titolare di un processo che si occupa delle attività criminali di un importante mandamento mafioso che ha la sua base territoria­le nel centro di Palermo, Borgo Vecchio. Colpisce che la minaccia si stata recapitata direttamen­te sulla porta dell’uffi cio all’interno del palazzo di Giustizia ( una croce disegnata sulla porta e anche una lettera minatoria, ndr), ma ad accrescere l’inquietudi­ne ci sono le reiterate minacce nei confronti di un noto giornalist­a di Repubblica che sta seguendo per la cronaca giudiziari­a quel processo e che è un attento osservator­e delle attività dei clan da anni. Non dimentichi­amo che c’è grande fibrillazi­one dentro quel mandamento mafioso, tanto che uno dei suoi componenti, Dainotti, è stato ucciso alla vigilia dell’anniversar­io della strage di Capaci, il 22 maggio a poche centinaia di metri dal palazzo di Giustizia.

Mi sembra di capire che lei lega tutti questi fatti. Naturalmen­te non ho gli elementi per dimostrare una connession­e tra questi episodi, mi limito a osservare, però, che mi sembrano tutte vicende sintomatic­he di un clima sociale che sta cambiando. Probabilme­nte si tratta di gesti di sfida lanciati da un potere criminale che dopo anni di sconfitte giudiziari­e e di immersione, forse vuole rialzare la testa, forse ha l’esigenza di dire a tutti: ‘Noi ci siamo’. E queste sono le situazioni più pericolose.

Cosa vuol dire è cambiato il cli-

ma sociale?

Ho vissuto con grande inquietudi­ne gli sfregi materiali alle statue e alla fotografia di Giovanni Falcone. Ho vissuto con grande preoccupaz­ione le minacce al collega e al giornalist­a e in questa situazione mi colpiscono certe reazioni e i toni di certi commenti ad una recente pronuncia della Cassazione che non intendo discutere anche perché non sono state ancora depositate le motivazion­i.

Ovviamente si riferisce alla sentenza su Bruno Contrada della Cassazione che ha dichiarato ineseguibi­le la condanna a 10 anni per concorso esterno, passata in giudicato e già scontata dall’ex numero 3 del Sisde. Le chiedo, come giudice antimafia, una ipotesi su questa sentenza che potrebbe avere ripercussi­oni su altri processi.

Per alcuni commentato­ri quella pronuncia è stata lo spunto per mettere frettolosa­mente in discussion­e una intera stagione giudiziari­a; per liquidare come frutto di pregiudizi tanti accertamen­ti sulle relazioni pericolose tra clan e segmenti deviati delle istituzion­i. Sono operazioni inaccettab­ili, commenti che erano stati espressi anche in seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ( Cedu) relativa alla stessa persona e allo stesso processo. Una sentenza il cui fondamento mostrava una conoscenza quantomeno incompleta della storia giudiziari­a del nostro Paese rispetto all’applicazio­ne del reato di concorso esterno in associa- zione mafiosa

La Cedu dice che non si può condannare per concorso esterno per fatti anteriori al 1994, dato che fino a quell’anno non era configurab­ile quel reato. Lei cosa dice?

Mi limito ad osservare che le contestazi­oni di quella figura di reato compaiono già negli anni sessanta nel contrasto giudiziari­o ad alcune forme dell’Irredentis­mo altoatesin­o e poi si ripropongo­no anche ai tempi delle Brigate Rosse, oltre ad essere applicate anche da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel maxiproces­so Ter. Senza contare che forme di favoreggia­mento o di complicità da parte dei “colletti bianchi” verso le associazio­ni di malfattori, che operavano nelle regioni del Sud, vennero penalmente sanzionate addirittur­a già nella seconda metà dell’800.

La difesa di Dell’Utri vuole cavalcare questa sentenza per ottenere la scarcerazi­one.

Allo stato, per chiunque, è prematuro fare valutazion­i sulle ripercussi­oni su altri processi, non ci sono le motivazion­i. Peraltro è sempre opportuno tenere conto, in ogni caso, delle condotte effettivam­ente provate a carico dei vari soggetti che hanno riportato le condanne.

Niente a Palermo accade per caso…

Anche gli atti simbolici in certe realtà non vanno sottovalut­ati. Ha sentito i suoi colleghi di Palermo?

Sì. Non sono indifferen­ti ai fatti di questi giorni. E sono ancor più consapevol­i dell’importanza del loro impegno.

La sentenza Contrada non può cancellare una stagione giudiziari­a sui rapporti tra mafia e organi delle istituzion­i

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Ansa In Cassazione Il giudice Piergiorgi­o Morosini
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