ToDays, il Festival (povero) che non c’era
La musica è uno dei più efficaci anti-depressivi esistenti. Meglio ancora se spalmata su più giorni, in modalità diverse e in una pluralità di luoghi. Il ToDays Festival, che si terrà dal 25 al 27 agosto, forse non dissolverà lo spleen in cui è piombata Torino dopo il disastro di Piazza San Carlo, ma certamente rappresenterà una necessaria ventata di energia per una città ritrovatasi a tratti sotto una cappa di proibizionismo e neo-puritanesimo dai risvolti spesso grotteschi. La terza edizione di una rassegna che fa della trasversalità e della contaminazione i suoi punti di forza dovrebbe essere quella della conferma dopo gli ottimi risultati delle due precedenti ( nel 2016 trentamila presenze, la metà da fuori Torino). Il ToDays, sotto diversi aspetti, rappresenta un modello di festival al quale in Italia non siamo abituati, e anche in questo Torino non viene meno alla sua tradizione di incubatrice di nuove idee.
FESTIVAL A BUDGET contenuto – quasi mezzo milione di euro, di cui meno di un quinto a carico del Comune: il resto arriva da partner come Intesa Sanpaolo, Fondazione CRT, Heineken – ma di altissima qualità per quanto riguarda i nomi in cartellone. Festival a vocazione urbana ma intenzionato a valorizzare più la periferia che il centro: la maggior parte dei concerti e delle attività (spettacoli, proiezioni, mostre, workshop, installazioni) si svolgeranno nel quartiere popolare di Barriera di Milano, tra lo Spazio211 – da quindici anni vera e propria cittadella “indie” torinese – e l’ex fabbrica INCET, interessante esempio di riutilizzo di strutture post- indu- striali.
Infine, festival a misura d’uomo e in grado di intrecciare linguaggi diversi: rock e elettronica (quest’ultima in collaborazione con il Varvara festival), sperimentazione e accessibilità, suoni e visioni, passato e futuro. “Troppi appuntamenti festivalieri si preoccupano di fornire al pubblico una formula rassicurante”, spiega il direttore artistico Gianluca Gozzi, “mentre il ToDays vorrebbe far vivere un’esperienza diversa. È più gratificante sapere che la gente se ne torna casa avendo assistito a qualcosa che non si aspettava e che l’ha spiazzata, piuttosto
La forza del teatro e l’immediatezza della musica, per amplificare le voci di chi una voce non l’ha mai avuta: gli ultimi. I barboni, i matti e i detenuti sono le ombre e i fantasmi che popolano l’universo del Delirio creativo. I protagonisti di una rappresentazione, che è la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile. Si intitola Fragili anime guerriereil disco d’esordio dell’attore e regista napoletano Raffaele Bruno che torna sulle scene con la compagnia teatrale Delirio creativo, che da oltre un decennio lavora nelle carceri, nelle comunità di recupero per tossicodipendenti e nei centri per il disagio psichico. Una musica di dolore e di speranza in cui si fondono parti recitate, musica popolare e la grande canzone d’autore italiana, per 13 brani che sono melodie allegre ma suonate con una certa dose di malinconia. Si sentono vibrare i vicoli della città, la violenza, il mare e la poesia di Napoli: “La speranza è che ognuno di noi, trovando il proprio limite dentro di sé, riesca a superarlo perché solo in questo modo è possibile fare una rivoluzione – dice Raffaele Bruno –. A Napoli la rivoluzione in passato c’è stata, durante le celebri ‘Quattro giornate di Napoli’, e forse ne siamo ancora capaci”.