Lotti si difende su Consip: “Non rivelai io l’inchiesta”
Interrogato dai pm Il ministro indagato nega di aver saputo e messo in allerta l’ex ad Marroni. Che però ha confermato le sue accuse
La parola di un ministro contro quella di un manager silurato dalla politica. Da una parte c’è il renzianissimo ministro dello Sport Luca Lotti che, indagato per rivelazione di segreto istruttorio e favoreggiamento, ieri ha negato di aver saputo – quando non era ancora di pubblico dominio – di un’inchiesta in corso su Consip; dall’altra c’è l’ex amministratore delegato della principale stazione appaltante che invece lo aveva indicato tra coloro che gli misero la pulce nell’orecchio al punto da far bonificare dalle cimici il proprio ufficio lo scorso dicembre. La parola di uno contro la parola dell’altro, dunque: è questa la partita di uno dei filoni dell’inchiesta Consip, quello sulla fuga di notizie in favore dei vertici della società pubblica.
IERI per la seconda volta Luca Lotti si è presentato dai magistrati romani. Era già successo il 27 dicembre scorso quando aveva reso spontanee dichiarazione. Ieri invece è stato interrogato dal procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Mario Palazzi. L’interrogatorio è stato breve, è durato circa un’ora e in sostanza Lotti ha confermato quanto detto sette mesi fa, ossia che non sapeva nulla d’inchiesta Consip e che per questo non può averlo riferito a Marroni. “Il ministro ha rispo- sto puntualmente a tutte le domande e ha ribadito con fermezza la sua estraneità ai fatti contestati”, sottolineano gli avvocati Franco Coppi e Ester Molinaro.
Eppure Marroni ha raccontato un’altra versione. Il 19 dicembre 2016, ai pm e ai carabinieri che gli chiedono del perché abbia fatto rimuovere le microspie nel proprio ufficio, Marroni risponde: “(...) Ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni (Presidente della fiorentina Publiacqua, ora indagato per favoreggiamento, nd r), dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercet- tato”. Poi ha aggiunto: “Ferrara mi ha notiziato di essere intercettato lui stesso e che anche la mia utenza era sotto controllo per averlo appreso direttamente dal comandante generale dei carabinieri Tullio Del Sette; (...) Lotti mi diede analoga informazione sempre a luglio 2016 durante un incontro da lui ed in quella occasione Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Casalino e che riguardava anche l’imprenditore Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ri- cordo se da Lotti o da Centrone Nicola, stretto collaboratore di Luca Lotti”. Quando è tornato dai pm romani, Marroni (che è ritenuto un testimone per ora attendibile anche perché alcune sue dichiarazioni sono state riscontrate) – secondo alcune indiscrezioni riportate dall’Ansa – avrebbe confermato la presenza del ministro tra i protagonisti della fuga di notizie pro Consip. Versione che Lotti nega. Capire chi dice la verità, quindi, sarà compito dei pm che intanto cercano di ricostruire tutti i passaggi della fuga di notizie. Non è stato per esempio ancora sentito il generale Saltalamacchia, indagato con Lotti e Del Sette per rivelazione di segreto e favoreggiamento.
INTANTO ieri è stato applicato il braccialetto elettronico all’imprenditore Alfredo Romeo che ha ottenuto i domiciliari. Romeo era stato arrestato il primo marzo con l’accusa di aver corrotto l’ex dirigente di Consip, Marco Gasparri, in cambio di informazioni riservate sulle gare Consip. Ora è ai domiciliari dopo che la Cassazione ha accolto il ricorso dei suoi legali che avevano sollevato una serie di eccezioni. Tra queste, la più delicata riguarda l’utilizzabilità di molte intercettazioni fatte durante le indagini. Le motivazioni dei giudici non sono state ancora depositate ma qualora dovessero riguardare le conversazioni (è solo un’ipotesi) potrebbe venir meno parte del materiale probatorio raccolto a Napoli.
Twitter @PacelliValeria
Parola contro parola Due versioni contrastanti. Capire chi mente è compito dei pm romani