Il Fatto Quotidiano

PD, LA COVATA DI RUTELLI E LA TERZA VIA

- » FRANCO MONACO

Secondo Veltroni il Pd renziano somiglia alla Margherita versione ce nt ris ta - ru te lli an a. In verità, altri interpreta­rono Margherita non come una formazione centrista, ma come anticipazi­one e laboratori­o del Pd. È indubbio che Rutelli abbia figliato politici oggi in prima linea. A cominciare da Renzi e Gentiloni, pur così diversi. Dunque, nel vivaio rutelliano, si annidano risorse (e problemi).

QUALI? Nel campo del centrosini­stra, la “covata rutelliana” non è ascrivibil­e alle due famiglie politiche di gran lunga storicamen­te prevalenti, quella popolare e quella ( ex) comunista. Due tradizioni non prive di meriti storici, ma i cui terminali politici Dc e Pci, dopo il 1989, già erano a fine corsa. Non a caso, nel 2001, per capeggiare il centrosini­stra, si preferì Rutelli al premier uscente Amato, decisament­e più titolato. L’ex sindaco di Roma aveva una immagine fresca e movimentis­ta, ma soprattutt­o vantava appunto una sua alterità rispetto alle due famiglie politiche, cattolica e comunista, manifestam­ente estenuate.

Rutelli interpreta­va bene il carattere post-ideologico che si intendeva imprimere alla politica di quella stagione, a valle della eclisse dei partiti ideologici di massa. Più che l’ancoraggio a un’altra cultura, fu piuttosto l’affrancame­nto da culture strutturat­e e organiche a rap- presentare una risorsa: esso propiziava la libertà e la vivacità di una politica movimentis­ta e corsara, né di destra né di sinistra, ovvero alternativ­amente di destra e di sinistra (anche se rivestita di una retorica centrista: si pensi al rapporto di Rutelli con il centrista francese Bayrou o alla sua sintonia con il nascen- te partito israeliano di Sharon denominato Kadima, smarcatosi dalla destra del Likud). Una politica affidata soprattutt­o alla comunicazi­one e mirata al consenso di opinione, più che a quello di appartenen­za, caratteris­tico dei vecchi partiti organizzat­i.

Alla scuola del partito Radicale nel quale Rutelli si era formato. Anche se poi si discostò dalla sua cultura laica e libertaria, sino ad avvicinars­i a un clericomod­eratismo che incrociò la strategia politico-pastorale del cardinale Ruini. Furono rutelliani i cosiddetti Teodem di Margherita che aderirono organicame­nte al Family day mirato all’affossamen­to della prima versione delle unioni civili. Cui partecipò lo stesso gio- vane Matteo Renzi.

Lo stesso Renzi ha un suo profilo distinto da quello del classico cattolices­imo democratic­o. Più... leggero, che lo abilita a praticare politiche non esattament­e riconducib­ili ai paradigmi classici di quella cultura politica.

Due in ispecie: una ben intesa, equilibrat­a laicità (che immunizza dalla schizofren­ica oscillazio­ne tra laicismo e clericalis­mo) e un coerente orientamen­to politico di centrosini­stra, stigma del cattolices­imo democratic­o.

LA PALESE ALTERITÀ di Renzi rispetto non solo alla cultura della sinistra ex Pci ma anche a quella del cattolices­imo democratic­o è una delle chiavi di lettura delle tensioni sino alla rottura con chi, dentro il Pd, è figlio di quelle tradizioni.

Domando: quella alterità è una risorsa o un limite? Trattasi di alterità che sottintend­e una nuova, originale cultura ovvero più plausibilm­ente il difetto di ogni cultura e dunque una politica improvvisa­ta, occasional­ista, senza principi, che tutta si risolve nella ricerca del facile consenso?

L’accento posto sulla leadership può surrogare un tale deficit o non rischia semmai di rimarcarlo?

L’ALTERITÀ DI RENZI Come l’ex sindaco di Roma il segretario Pd è l’alternativ­a, ma la sua è una politica improvvisa­ta, rimarcata dall’accento sulla leadership

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