PD, LA COVATA DI RUTELLI E LA TERZA VIA
Secondo Veltroni il Pd renziano somiglia alla Margherita versione ce nt ris ta - ru te lli an a. In verità, altri interpretarono Margherita non come una formazione centrista, ma come anticipazione e laboratorio del Pd. È indubbio che Rutelli abbia figliato politici oggi in prima linea. A cominciare da Renzi e Gentiloni, pur così diversi. Dunque, nel vivaio rutelliano, si annidano risorse (e problemi).
QUALI? Nel campo del centrosinistra, la “covata rutelliana” non è ascrivibile alle due famiglie politiche di gran lunga storicamente prevalenti, quella popolare e quella ( ex) comunista. Due tradizioni non prive di meriti storici, ma i cui terminali politici Dc e Pci, dopo il 1989, già erano a fine corsa. Non a caso, nel 2001, per capeggiare il centrosinistra, si preferì Rutelli al premier uscente Amato, decisamente più titolato. L’ex sindaco di Roma aveva una immagine fresca e movimentista, ma soprattutto vantava appunto una sua alterità rispetto alle due famiglie politiche, cattolica e comunista, manifestamente estenuate.
Rutelli interpretava bene il carattere post-ideologico che si intendeva imprimere alla politica di quella stagione, a valle della eclisse dei partiti ideologici di massa. Più che l’ancoraggio a un’altra cultura, fu piuttosto l’affrancamento da culture strutturate e organiche a rap- presentare una risorsa: esso propiziava la libertà e la vivacità di una politica movimentista e corsara, né di destra né di sinistra, ovvero alternativamente di destra e di sinistra (anche se rivestita di una retorica centrista: si pensi al rapporto di Rutelli con il centrista francese Bayrou o alla sua sintonia con il nascen- te partito israeliano di Sharon denominato Kadima, smarcatosi dalla destra del Likud). Una politica affidata soprattutto alla comunicazione e mirata al consenso di opinione, più che a quello di appartenenza, caratteristico dei vecchi partiti organizzati.
Alla scuola del partito Radicale nel quale Rutelli si era formato. Anche se poi si discostò dalla sua cultura laica e libertaria, sino ad avvicinarsi a un clericomoderatismo che incrociò la strategia politico-pastorale del cardinale Ruini. Furono rutelliani i cosiddetti Teodem di Margherita che aderirono organicamente al Family day mirato all’affossamento della prima versione delle unioni civili. Cui partecipò lo stesso gio- vane Matteo Renzi.
Lo stesso Renzi ha un suo profilo distinto da quello del classico cattolicesimo democratico. Più... leggero, che lo abilita a praticare politiche non esattamente riconducibili ai paradigmi classici di quella cultura politica.
Due in ispecie: una ben intesa, equilibrata laicità (che immunizza dalla schizofrenica oscillazione tra laicismo e clericalismo) e un coerente orientamento politico di centrosinistra, stigma del cattolicesimo democratico.
LA PALESE ALTERITÀ di Renzi rispetto non solo alla cultura della sinistra ex Pci ma anche a quella del cattolicesimo democratico è una delle chiavi di lettura delle tensioni sino alla rottura con chi, dentro il Pd, è figlio di quelle tradizioni.
Domando: quella alterità è una risorsa o un limite? Trattasi di alterità che sottintende una nuova, originale cultura ovvero più plausibilmente il difetto di ogni cultura e dunque una politica improvvisata, occasionalista, senza principi, che tutta si risolve nella ricerca del facile consenso?
L’accento posto sulla leadership può surrogare un tale deficit o non rischia semmai di rimarcarlo?
L’ALTERITÀ DI RENZI Come l’ex sindaco di Roma il segretario Pd è l’alternativa, ma la sua è una politica improvvisata, rimarcata dall’accento sulla leadership