Tour de France: tutti contro Aru Il sardo non molla la maglia gialla
Appena 101 km, ma assai spettacolari, da Saint-Girons a Foix. Primo al traguardo – il 14 luglio – il bretone Barguil
Chapeau al Tour de France! Che ha scommesso su una tappa sfrenata, breve e letale come una raffica di mitragliatrice: quella di ieri, da Saint-Girons a Foix, appena 101 km, con dentro tre mine vaganti, tre colli aspri di prima categoria (Latrape, Agnès e Péguère), e poi una lunghissima discesa a tomba aperta, dove rischi il collo e la classifica. Insomma, un inno al disordine: per scombussolare tattiche e strategie tradizionali. Per sfidare le regole canoniche delle corse a tappe. Viva l’anarchismo della bicicletta...
Pronti, via! E subito all’arrembaggio, senza un attimo di tregua, à bout de souffle, sino all’ultimo respiro. L’assunto ideologico? Le tappe corte talvolta sono le migliori. Era più che una premessa, una promessa. Ed è stato così. Un concentrato di grande ciclismo in 101 km di rara intensità agonistica fin dal primo metro, quando è scattato come una furia il giovane francesino Warren Barguil detto Wawa, che indossa la maglia a pois di miglior scalatore e che è andato subito a caccia di punti preziosi. Dopo la maglia gialla, quella dei grimpeurs è il trofeo più ambito. Senza dimenticare il contesto: un francese che va a vincere nel giorno più sacro di Francia, il 14 luglio che celebra la presa della Bastiglia, diventa un eroe. Se poi questo 14 luglio è anche il giorno triste che ricorda la strage della Promenade des Anglais di Nizza dello scorso anno, allora assume un significato ancor più complesso: la vittoria del bretone Barguil va oltre il significato sportivo, diventa un motivo di orgoglio, fierezza e fiducia.
WAWA HA APPENA 25 anni, ha ancora una vocina da ragazzino, è simpatico e capace di belle imprese. Si è rifatto della cocente sconfitta di domenica scorsa, quando è stato battuto al fotofinish da Uran, questione di millimetri. Vive la France “des super petits jeunes”, twittano i tifosi, lo sport bacia lo chauvinismo... che ha salvato Bardet da una penalità di 20 secondi per una borraccia. Per non punirlo, i giudici hanno ridato a Uran e Bennett la stessa penalità di giovedì. Un baratto di affilato cinismo.
Appunto, la Franceprima di tutto. Così sulla prima pagina di ieri dell’Équi pe, la bibbia sportiva transalpina, campeggiava solo il nome di Bardet, il vincitore di Peyragudes, mentre la maglia gialla di Fabio Aru è stata ampiamente snobbata. Errore. Sottovalutano l’orgoglio di Aru, sardo doc. Gli storici raccontano che sarebbero stati i cartaginesi – feroci e scontrosi – a plasmare il carattere dei sardi. Che sono testardi. Che se le legano al dito. E che non perdonano.
IERI, ARU lo volevano ammazzare tutti (in senso pedalatorio s’intende): lo vedevano inerme, senza compagni di squadra, un’Astana che ha perso Cataldo e Fulgsang, preziosissimi comprimari di Fabio, senza uomini capaci di reggere il ritmo forsennato dei migliori. I falchi del gruppo lo immaginavano facile preda del vendicativo Froome, crocifisso sul muro di Peyragudes dove in 300 metri aveva perso 22 secondi da Bardet e 20 da Aru e Uran. Il Macbeth della Sky, in preda alla sua brama di potere, ha mandato all’attacco il più forte dei suoi, Landa. Che più volte è stato virtualmente maglia gialla. Ha usato l’ex campione del mondo Kwiatkowski per sgretolare la resistenza di Aru in discesa.
La bagarre e tutto il contorno di feroci imboscate e piani diabolici per destabilizzare il campione italiano, l’ha invece esaltato. Fabio ha rintuzzato tutto controllando gli avversari veri, non i loro avatar. Ha replicato agli allunghi di Froome, alle tirate di Uran e di Martin, e forse ha stretto una piccola alleanza con Bardet, in attesa delle Alpi la settimana prossima, prima della fatale crono di Marsiglia, specialità nella quale Froome è maestro. Risultato: Aru è ancora in giallo. Froome gli sta appresso a 6 secondi, costretto a tenersi la maglia bianca della squadra. Di giallo, ha, per il momento, solo tanto livore.