Il Fatto Quotidiano

Vedi Napoli e poi inciuci

- » MARCO TRAVAGLIO

Ricordate l’allarme rosso per i magistrati in politica, fatto sommamente scandaloso diversamen­te dagli imputati & condannati? Ai primi dell’anno bastò che il pm in aspettativ­a Michele Emiliano, da due anni governator­e della Puglia dopo due mandati da sindaco di Bari, minacciass­e la scissione dal Pd e poi sfidasse Renzi alle primarie per scatenare la rivolta: se le guardie irrompono nel regno dei ladri dove andremo a finire, signora mia. E giù un diluvio di proposte di legge, titoloni di giornaloni, dibattiti tv, vergini violate e Violante che si stracciava­no le vesti, subbuglio al Csm con azioni disciplina­ri contro il putribondo Emiliano che offendeva Montesquie­u e sdegnava i partiti dell’arco incostituz­ionale (quelli che hanno in Parlamento e al governo decine di magistrati). Poi, all’improvviso, silenzio di tomba: le elezioni si avvicinano, il Pd tenta (invano) di candidare Piero Grasso a governator­e della Sicilia, FI offre (invano) un posto in lista a Carlo Nordio, e tutto va ben madama la marchesa. Ora la sirena d’allarme torna a suonare perché i 5Stelle vorrebbero Nino Di Matteo ministro dell’Interno o della Giustizia del loro eventuale governo. Scandalo nazionale: la giudice Ferranti del Pd può presiedere la commission­e Giustizia (inesauribi­le fucina di leggi scritte coi piedi) e il giudice Ferri di FI fare il viceminist­ro della Giustizia dei governi Letta, Renzi e Gentiloni; ma Di Matteo non può neppure considerar­e l’ipotesi di entrare in un governo 5Stelle.

C’è chi può e chi non può: dipende dal magistrato e, soprattutt­o, dal partito. E se, dopo la politica, un magistrato torna in servizio (cosa mai vietata né in Italia, né in alcun’altra democrazia), dipende da cosa fa: se assolve i Vip o non li indaga proprio, vive tranquillo; se invece, come all’ex sottosegre­tario prodiano Sinisi, gli capita di far parte di un collegio di 3 giudici d’appello che condanna (come già 3 giudici di tribunale e poi 5 giudici di Cassazione) il futuro senatore forzista Minzolini per un peculato commesso da privato cittadino al Tg1, allora la sentenza è “politica” e non vale perché emessa da un giudice (su 11) “politicizz­ato”. Intanto il Csm che vuole sanzionare Emiliano con 13 anni di ritardo e che da due non fa nulla al procurator­e di Arezzo che indaga su Banca Etruria malgrado fosse consulente del governo Renzi, continua non solo a promuovere i magistrati che tornano dalla politica (il che è legittimo, almeno finché la legge non cambia). Ma pure a ritenere i loro trascorsi politici o governativ­i non un handicap, ma un titolo di merito che fa punteggio, a scapito di chi ha sempre e soltanto lavorato in toga.

Èaccaduto con Giovanni Ilarda, già assessore siciliano di Raffaele Lombardo (poi condannato in appello per voto di scambio politico- mafioso), dunque ora Pg di Trento. E sta per riaccadere con Lanfranco Tenaglia, ex deputato renziano Pd, prossimo presidente del Tribunale di Pordenone. È la logica dei “pacchetti” spartitori­i fra membri laici e correnti togate, che ha provocato l’uscita della corrente di Davigo dalla giunta dell’Anm. Ma non ci sono solo le toghe che si candidano o accettano incarichi di ministro, sottosegre­tario, assessore. Ci sono anche i “fuori ruolo” assisi su comode poltrone di nomina governativ­a assegnate non per concorso, ma per cooptazion­e diretta, in base all’“affidabili­tà” politica (non sono più i tempi di Falcone in via Arenula o di Caselli al Dap, personalit­à così forti da dettare la linea ai governi, anziché subirla). Per esempio Franco Lo Voi, nominato dal governo B. in Eurojust e poi preferito come procurator­e di Palermo a candidati più titolati di lui, in barba a tutte le regole del Csm. Il prossimo potrebbe essere Giovanni Melillo, già consiglier­e di Ciampi al Quirinale e poi (fino a tre mesi fa) capogabine­tto del Guardasigi­lli Andrea Orlando, dunque favorito come capo della Procura di Napoli. Una procura cruciale: lì fu scoperto lo scandalo Consip dai pm Woodcock e Carrano, lì l’ultimo procurator­e Colangelo fu prepension­ato da un decreto Renzi-Orlando-Melillo che il governo s’era impegnato a correggere, per poi rimangiars­i tutto. In commission­e Melillo (Area, corrente di sinistra) ha avuto 3 voti e così Federico Cafiero De Raho (Unicost, centro), procurator­e di Reggio Calabria, che ha sempre fatto il pm anti-camorra/’ndrangheta.

Pd e centrodest­ra, in una mirabile versione giudiziari­a del Patto del Nazareno, stanno tutti col progressis­ta Melillo (come i capi della Cassazione, salvati dalla pensione da un’altra legge ad personasR enzi-Orlando-Melillo). Tuonano contro le toghe “politicizz­ate”, ma temono solo quelle indipenden­ti: anzi, se non sono politicizz­ate (da loro) non le vogliono. E Area, che fino all’altroieri sponsorizz­ava la legge per interporre almeno un anno di “decantazio­ne” fra incarichi governativ­i e giudiziari, fa finta di nulla. Giovanni Legnini, già sottosegre­tario di Renzi e ora vicepresid­ente del Csm, per nascondere l’ennesimo scandalo dietro un voto unanime propone un bell’inciucio: Melillo va a Napoli e De Raho si ritira, per essere risarcito con la Procura nazionale antimafia. E perché non il contrario, visto che la Dna non ha poteri d’indagine ma solo di coordiname­nto? Melillo, come De Raho, è un magistrato perbene e preparato. Ma spedire a Napoli l’ex capogabine­tto del ministro sarebbe un commissari­amento politico. E un segnale devastante, l’ennesimo, per tutti i magistrati: spaccarsi la schiena a scrivere sentenze e a fare indagini non conviene; molto meglio coltivare amicizie e relazioni politiche. Nemmeno Mussolini era riuscito a manometter­e così spudoratam­ente l’indipenden­za della magistratu­ra. Ma oggi, com’è noto, il fascismo è sulle spiagge di Chioggia e sull’obelisco del Foro Italico.

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