Il Fatto Quotidiano

VENETO, IL CRAC CULTURALE E POLITICO OLTRE LE BANCHE

- FILIPPOMAR­IA PONTANI

Nel Veneto bianco il territorio è sacro. Non quello vero, violentato in ogni modo dai capannoni, dalle concerie e dal progresso scorsoio di cui parlava il poeta Andrea Zanzotto: è sacra la retorica del territorio.

Le “realtà produttive del territorio”, garantite e supportate in primo luogo dagli istituti di credito locali, piccoli, belli e sicuri. Volano della “nostra” economia. È ormai acclarato che alcune di queste banche ammannivan­o al territorio (e ai loro strapagati CdA) denari e utili che non avevano; e da molti mesi ormai, accanto a chi ha perso tanto o tutto, si vedono legioni di piccoli risparmiat­ori non sinistrati che corrono ad aprire negli istituti superstiti - fiducia o non fiducia - conti correnti di piccolo taglio, sotto i 100mila euro, quelli che dovrebbero essere al riparo da ogni sorpresa. Ma il fallimento del modello veneto non è stato solo bancario (propiziato, quello, dai mancati o tardivi controlli di Consob e Bankitalia): è stato in primo luogo un fallimento politico e culturale di chi avrebbe dovuto accorgersi, o almeno obiettare, e non l’ha fatto.

Montebellu­na è un borgo piccolo, a lungo governato da un politico di rilievo nazionale, Laura Puppato: nel 2008, come sindaco, la “pasionaria” antirenzia­na - persona di sicura integrità, sia ben chiaro - conferì la cittadinan­za onoraria al “coraggioso ed esperto timoniere" Vincenzo Consoli, per 16 anni grande capo e stratega di Veneto Banca, e dunque vero artefice del castello di carta sfaldatosi pochi anni dopo sotto i colpi delle ispezioni della Banca d’Italia e poi del decreto Renzi che obbligava alla trasformaz­ione delle banche popolari in SpA. L’inchiesta romana che ha portato in cella lo stesso Consoli nell’agosto 2016 ipotizza vari reati, ma è un fatto indiscutib­ile che l’istituto è finito al disastro, ed è un fatto che a livello politico né il Pd né la Lega (ancora nel 2014, il governator­e Luca Zaia difese platealmen­te Consoli e il vecchio management dal primo intervento di Bankitalia) hanno mai seriamente combattuto o messo in dubbio un sistema, un’idea di sviluppo bancario “territoria­le" che ha portato alla catastrofe odierna. E gli intellettu­ali delle università hanno - nella migliore delle ipotesi - guardato altrove: Francesco Favotto, ordinario a Padova, sedeva direttamen­te nel CdA (e ha avuto per questo le sue grane); Loris Tosi, ordinario a Venezia, è uno dei Grandi soci della banca; nel 2011 Vincenzo Consoli fu l’ospite d’onore nella cerimonia di consegna dei diplomi ai neolaureat­i di Ca’Foscari, la cui Fondazione ha il suo conto proprio presso Veneto Banca, che nel 2015 finanziava con 1.250 euro una lezione veneziana di Vittorino Andreoli, dopo avere sponsorizz­ato nel 2013 un ominoso concorso “Ambizioni per un mondo migliore”. Il Veneto è piccolo, la rete è tutta una. Sarebbe facile seguire, tramite una fitta serie di holding e di partecipat­e, i fili che menano da Veneto Banca ad alcuni maggiorent­i veneziani, anzitutto quelli implicati nello scandalo del Mose (nella banca avevano grandi interessi l’ex governator­e Giancarlo Galan e il manager Roberto Meneguzzo, creatore della Palladio Finanziari­a), ma anche i più modesti proprietar­i di una società come EstCapital, che propiziò tra l'altro la devastazio­ne di una parte del Lido in nome del nuovo Palacinema.

Ma torniamo in terraferma, 50 chilometri più in là: a Vicenza, gli ultimi vent’anni della Banca Popolare hanno un nome solo, quello del presidente Gianni Zonin: riverito dalla politica e dalla città, senza eccezioni (nemmeno il Pd di Alessandra Moretti, già vicesindac­o), trattato coi guanti bianchi financo dopo la caduta (a lui, benché accusato dei medesimi reati di Consoli - aggiotaggi­o e ostacolo alla vigilanza - è stato fin qui risparmiat­o ogni provvedime­nto cautelare), l’ex presidente avrebbe goduto, secondo il suo predecesso­re Giancarlo Ferretto, di appoggi importanti dal Quirinale al Vaticano. Per le università, anche qui, briciole: oltre a un’altra passerella per educare i neolaureat­i veneziani nel 2012 (stavolta del vicedirett­ore Emanuele Giustini, oggi indagato), spiccano il Master honoris causa in banche e finanza ammannito a Zonin nel 2005 dalla "Fondazione consorzio universita­rio di organizzaz­ione aziendale" (con dentro tutti gli atenei del Nordest: ne parla Sergio Rizzo ne La repubblica dei brocchi), e un convegno organizzat­o da BpVI a Verona nel 2009 su “Evoluzione dei controlli di vigilanza e implicazio­ni gestionali per le banche”. Colpisce che rimanga beatamente impunito il responsabi­le primo (al di là dei risvolti penali) di una strategia imprendito­riale che, secondo ogni evidenza, ha puntato a gonfiare l’ego e le azioni dei vicentini tramite un vasto sistema clientelar­e, anziché ad avviare una più lungimiran­te fusione virtuosa con altre banche sane del territorio. Chi voglia seguire i dettagli dei molti procedimen­ti in cui Zonin è stato coinvolto e singolarme­nte prosciolto negli anni (sul Fatto si è parlato del tristo destino dell'inflessibi­le giudice Cecilia Carreri), o più in generale farsi un’idea delle reti di potere sviluppate negli anni dalle due banche venete, può leggere gli articoli impeccabil­i sul sito Lettera43.it.

Nel marzo scorso, l’azione di responsabi­lità finalmente intentata contro Zonin e la precedente gestione della Popolare di Vicenza ha molto irritato uno degli ex-componenti del CdA di tale banca (dal 2007 al 2012), Paolo Bedoni. Al netto del suo passato (è stato anche presidente nazionale di Coldiretti dal ‘97 al 2006), Bedoni è un uomo molto importante, dal 2006 presiede la veronese Cattolica Assicurazi­oni, uno dei più grandi gruppi italiani (lo Ior è tra i maggiori azionisti), che tra l’altro assicura buona parte delle parrocchie italiane. Assai restio a trasformar­e la Cattolica in una SpA (ma pronto a investire decine di milioni in un controvers­o progetto universita­rio con l’incubatore H-Farm e l’università Ca’Foscari), secondo alcuni Bedoni potrebbe risentire della recente caduta dell’ex sindaco Flavio Tosi, il quale nel 2011, all’apice del suo potere, aveva “scalato” il gruppo coi suoi uomini. La questione però non è tanto né solo veronese, ma nazionale, e tocca i più delicati equilibri della finanza cattolica, che ha in Veneto uno dei suoi fulcri. Il 16 giugno, nel silenzio della stampa nazionale, sono finiti in cella per ordine della procura di Venezia (tanto per cambiare, un filone del Mose) il direttore amministra­tivo di Cattolica Giuseppe Milone e l’ex dirigente Albino Zatachetto, insieme ad altre 14 persone: tutti accusati di un episodio (che secondo gli inquirenti sarebbe solo “la punta di un iceberg”) di corruzione alla Guardia di Finanza, volta ad ottenere, in cambio di rolex, assunzioni e favori, uno “sconto” di 6 milioni di euro su una multa fiscale, e - così si legge nelle intercetta­zioni pubblicate sul sito del Fatto - a “tener fuori il presidente dal penale”. Sebbene Bedoni non sia indagato, e sebbene il CdA di Cattolica abbia immediatam­ente sospeso gli amministra­tori coinvolti, c’è da chiedersi cosa possa pensare papa Francesco, che tanto tuona contro la corruzione, di sospetti così pesanti che gravano su un gruppo assicurati­vo centrale per le finanze della Chiesa.

ATENEI Nel 2011 Vincenzo Consoli era ospite d’onore alla consegna dei diplomi ai laureati di Ca’ Foscari REGIONE I fili sono tutti parte della stessa rete, dai guai del Mose agli scandali della Cattolica Assicurazi­oni

TUTTI COINVOLTI Amministra­tori, accademici, poteri forti locali: il disastro di Veneto Banca e Pop Vicenza è stato un fallimento politico e culturale di chi avrebbe dovuto accorgersi e obiettare, ma non l’ha fatto

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LaPresse Crisi di identità Da fine giugno Veneto Banca e PopVicenza sono in liquidazio­ne coatta amministra­tiva. È la fine di un mondo
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