Fincantieri, Bono e un disastro a tutele crescenti
Giuseppe Bono, 73 anni di cui gli ultimi 15 alla guida di Fincantieri, è l’unico boiardo delle partecipazioni statali sopravvissuto a tutto, anche alla bancarotta dell’Efim e del suo partito di riferimento, il Psi di Bettino Craxi. Sempre più pagato e potente, incarna una nuova figura mitologica: il disastro a tutele crescenti. E infatti, ci fa sapere la firma del Sole 24 Ore Gianni Dragoni dal suo blog, lo stagionato manager è stato premiato per i disastri conseguiti con un principesco aumento di stipendio. La retribuzione fissa è cresciuta da 735 a 950 mila euro lordi annui. Il premio di risultato conseguibile sale del 37 per cento, da 450 mila a 617 mila euro, e gli è stato aggiunto un bonus in azioni del valore di circa 3 milioni.
Tre anni fa Bono teneva il sacco mentre la Cassa Depositi e Prestiti dava ai risparmiatori italiani una fregatura che ancora grida vendetta. Avendo deciso di quotare in Borsa la Fincantieri per rianimarne le esangui casse, il governo Renzi, visto che i grandi investitori rifiutavano quella robaccia, ficcò l’80 per cento delle azioni in tasca al cosiddetto retail, cioè i risparmiatori ai quali nel prospetto era destinata non più del 20 per cento dell’offerta. C’era una clausoletta scritta piccola e in inglese, quindi vietato protestare (anche perché appena ci provi ti dicono che il retail non ha “educazione finanziaria”, quindi è colpa della loro ignoranza se un banchiere, o lo Stato, li fotte). Nell’occasione ci fu anche la beffa dell’amministratore delegato di Cdp Giovanni Gorno Tempini che così giustificò la fuga degli investitori professionali: “Le caratteristiche specifiche di Fincantieri necessitano di maggiore comprensione per gli investitori istituzionali”. Invece le vecchiette dovevano capire al volo. Si noti per inciso che simili cialtronate provengono da gente pagata per parlare a nome dello Stato.
Bono ha così portato a casa 340 milioni. Le azioni sono state collocate a 78 centesimi. Il giorno in cui fu deciso di aumentare lo stipendio al genio del management valevano in Borsa 35 centesimi, e chissà se fu la prova numerica della fregatura data ai risparmiatori a far scattare il premio. Dopo la quotazione in Borsa, nel 2014 Fincantieri ha guadagnato 55 milioni, nel 2015 ne ha persi 289, nel 2016 ha fatto 14 milioni di utile. Somma algebrica: meno 220 milioni. Nel 2014 c’erano 44 milioni in cassa, adesso ci sono debiti per 615 milioni. Il patrimonio netto è sceso da 1,53 a 1,24 miliardi. Dopo aver convinto i risparmiatori a investire nel gioiello della cantieristica, Bono si è fumato circa un miliardo in tre anni.
E a chi l’azionista Cdp delega la gestione del genio e dei suoi stipendi? Non ci si crede. Nel “comitato remunerazioni” che ha deciso l’aumento c’è Donatella Treu, ex ad del Sole 24 Ore. Poche settimane prima della sofferta deliberazione era stata cacciata dal Solecon una buonuscita da un milione e mezzo, oggi è indagata per falso in bilancio. Non solo. Il capo dello staff dell'ad di Cdp Fabio Gallia si chiama Emanuela Bono. Già, proprio la figlia del manager che Gallia dovrebbe controllare.
Lo scoppiettante Bono sostiene che i giornali, scritti da “gente inutile che non sa di che parla”, non vanno letti. Probabilmente ha ragione. Per questo il presidente della Cdp Claudio Costamagna dovrebbe ignorare gli sguaiati articoli critici e leggere, se gli capitasse del tempo libero, i bilanci della Fincantieri. Naturalmente a condizione che non lo disturbi troppo occuparsi del denaro pubblico che gli è stato affidato.