Fattorini mascherati per poter scioperare
E-mail dell’azienda per intimorire i raiders: a Milano in pochi e a volto coperto
Hanno
dai 18 ai 40 anni, qualcuno è laureato, altri hanno solo la licenza media; sono italiani, sudamericani e nordafricani. Ma tutti, ogni giorno, pedalano decine di chilometri in ogni condizione atmosferica per consegnare pasti a domicilio per circa 8 euro all’ora. Sono i riders di Deliveroo che, dopo le proteste dei loro colleghi torinesi di Foodora, hanno deciso di scendere in piazza a Milano per denunciare le condizioni di lavoro, a loro giudizio, insostenibili. “Nasci, consegna, crepa”. I fattorini 2.0 sintetizzano così la loro vita.
L’APPUNTAMENTO è di sabato alle 19,30 in piazza XXIV maggio a Milano, a due passi dalla movida milanese dei Navigli. Data, ora e luogo non sono casuali: la fascia serale del weekend è il momento di massima richiesta e dei 1000 riders di Deliveroo a Milano ne lavorano 600. Ma di loro c’è ne sono solo una cinquantina. E molti a volto coperto. Hanno paura a esporsi e di essere presi di mira dall’azienda e di lavorare sempre meno. “Abbiamo ricevuto una mail dall’azienda che ci invitava a non partecipare a questa manifestazione – racconta un ragazzo con una maschera bianca sul volto - sostenevano che gli organizzatori appartenevano a frange violente, cosa assolutamente falsa”. La mail in questione è stata pubblicata sui vari gruppi Facebook.
A finire al centro delle proteste è soprattutto il cosiddetto algoritmo, il sistema che fa aumentare e diminuire la possibilità di lavorare a ogni riders: “Se sei molto disponibile e molto veloce nel pedalare l’algoritmo ti farà salire nelle preferenze dei tuoi colleghi e ti verranno affidati più ordini – raccontano dalla piazza – Se al contrario c’è un periodo in cui, per qualsiasi motivo, lavori meno perderai posizioni e turni”. Niccolò è uno studente universitario che si paga gli extra con le consegne a domicilio. Con i soldi risparmiati durante un inverno di lavoro una settimana fa è andato in vacanza. “Prima di partire lavoravo 14 ore alla settimana. Dopo il periodo di stop per le ferie sono stato chiamato solo per 2 ore. Da un giorno all’altro mi sono state tolte 12 ore di lavoro”.
PER UN GIOVANE la perdita di ore di lavoro può significare qualche extra in meno, ma molti altri riders lavorano per pagarsi da vivere e alcuni anche per mantenere la famiglia. “Mi sono stupito quando ho iniziato a settembre – racconta Alessandro, poco più che ventenne – pensavo di trovare ragazzi come me, invece molti hanno 10-15 anni più e le consegne sono l’unica fonte di sostentamento. Bisogna fare una distinzione tra noi studenti che lavoriamo 50 ore al mese e chi ne lavora oltre 250. Hanno bisogno di un contratto vero. Noi siamo in piazza anche per queste persone. Per loro è più difficile esporsi”. Se un riders si ammala non lavora e non vieni pagato. Per molti questo significa avere problemi per l’affitto. Per non parlare degli incidenti. “L’azienda copre i danni a terzi sopra i 150 euro, ma nella maggior parte dei casi si rimane sotto questa cifra”, spiega un riders che vuole l’anonimato. Nessuna tutela è prevista per gli infortuni durante il lavoro. “Una mia collega è stata investita due settimana fa – racconta Alessandro – L’unica cosa che ha ricevuto da parte dell’azienda è stato il gelato a casa. E tutti i miei colleghi che hanno avuto incidenti non hanno ricevuto niente. Chiediamo solo più tutele”.
L’obiettivo è arrivare a un contratto nazionale del food delivery in Italia. Domani Alessandro prenderà la sua bici e tornerà a fare le consegne a domicilio. E spera che la sua scelta di non mettere una maschera non gli farà perdere altri turni di lavoro.
Abbiamo ricevuto una mail da parte dell’azienda che ci invitava a non partecipare a questa protesta