Il Fatto Quotidiano

“I politici ci hanno genuflessi, le leggi e il Csm premiano i giudici carrierist­i”

Intervista al magistrato ex capo dell’Anm

- » MARCO TRAVAGLIO

Piercamill­o Davigo, l’uscita della sua corrente Autonomia e Indipenden­za dalla giunta dell’Associazio­ne magistrati continua a far discutere. Il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte della corrente Area e il leader di Unicost Antonio Sangermano la accusano di “populismo giudiziari­o”.

Ridicolo. È la stessa accusa che mi hanno sempre mosso i peggiori politici e giornali. Ora vedo che la usano anche alcuni colleghi. La prendo come una medaglia alla mia indipenden­za. Io indico la luna e questi guardano il dito.

Quale sarebbe la luna?

Le nomine lottizzate, poco trasparent­i e incomprens­ibili di magistrati negli incarichi giudiziari direttivi e semidirett­ivi da parte del Csm, che sconcertan­o buona parte dei nostri colleghi, oltre ai settori più avveduti dell’opinione pubblica. E la risposta qual è? Che io le denuncio per guadagnare voti con la mia componente associativ­a. Ma santo cielo, se mi dicono così significa che lo sanno anche loro che molti magistrati la pensano come me. O credono che la loro base sia formata da un branco di idioti?

Qual è oggi il rischio più grave per la magistratu­ra italiana?

Quello del carrierism­o e quello del conformism­o verso il potere politico, che il Csm dovrebbe arginare, non incentivar­e. Le nomine dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti dovrebbero rispondere a criteri più chiari e stringenti e avvenire con procedure più trasparent­i e comprensib­ili. Chi concorre a un incarico deve presentare un’auto-relazione, che poi viene confrontat­a con quelle degli altri per la scelta finale del Csm. Ecco, queste relazioni devono essere online, a disposizio­ne di tutti. Per un’esigenza profilatti­ca: così uno evita di tessere lodi infondate o esagerate di se stesso; chi vota per lui risponderà della sua scelta a tutta la magistratu­ra e ai cittadini; e tutti capiranno se il Csm ha scelto il più bravo oppure no. Non c’è privacy che tenga. Oggi purtroppo non è così, il che provoca una crescente disaffezio­ne dei magistrati verso il loro organo di autogovern­o: io vengo accusato di colpire il Csm, mentre voglio difenderlo, aiutandolo a evitare errori.

Lei contesta la lottizzazi­one correntizi­a delle nomine “a pacchetto”. Perché?

Se si decide contempora­neamente su un mazzo di incarichi da riempire, senza trasparenz­a né criteri stringenti, il rischio è che non si scelga il migliore per ogni posto, ma che si segua la logica dell'“uno a me, uno a te, uno a lui”.

Mettano tutto online: a parole sono tutti d’accordo, perché non lo fanno? Un collega mi ha detto: “Ormai ci stupiamo se ogni tanto il Csm nomina uno bravo”. E purtroppo sono in molti a pensarlo. Ma si può andare avanti così?

Voi avete contestato le nomine dell’ex assessore della giunta siciliana di Lombardo, Giovanni Ilarda, a Pg di Trento, e l’indicazion­e dell’ex deputato Pd Lanfranco Tenaglia a presidente del Tribunale di Pordenone.

Ci siamo sentiti presi in giro. La giunta unitaria dell’Anm si era data un programma, che comprendev­a il monitoragg­io delle nomine direttive e semidirett­ive del Csm, per verificare il rispetto delle regole. Dopo durissime discussion­i, abbiamo creato questo gruppo di lavoro. E c’era un’intesa sui “fuori ruolo” che arrivano dai ministeri: almeno un anno di pausa, prima che possano concorrere a incarichi direttivi. Inoltre il Comitato direttivo centrale dell’Anm approvò una richiesta al Parlamento per stabilire che chi rientra da un’esperienza politica non abbia funzioni giurisdizi­onali. Su questi punti quasi tutte le correnti dell'Anm, a cominciare da Area, avevano posizioni intransige­ntissime. Ma se poi chiediamo al Csm di attenersi, per coerenza, a questi criteri nelle sue nomine, cominciano i distinguo, le resistenze, e si continua a fare come se niente fosse. Addirittur­a si fa saltare la fila ai “fuori ruolo” di ritorno, che passano davanti a quelli che hanno sempre tenuto la toga in spalla. Ma con quale credibilit­à? Ecco: se non mi fido di chi gioca con me, non gioco più.

Non è strano che il favorito al Csm per fare il capo della Procura di Napoli sia Giovanni Melillo, capo di gabinetto uscente del ministro Orlando?

Non voglio parlare dei casi singoli, ma dei princìpi: se abbiamo ritenuto che i “fuo ri ruolo” per un anno non possano diventare dirigenti di uffici giudiziari, quella nomina violerebbe questo principio. È una cosa ovvia: persino gli ambasciato­ri, che non hanno doveri di indipenden­za, dopo un certo periodo all'estero devono rientrare in Italia per il cosiddetto “bagno”: altrimenti diventano cittadini stranieri. A maggior ragione questo deve valere per i magistrati che vengono cooptati dai politici per incarichi ministeria­li: badi bene, non scelti per concorso, ma per rapporti fiduciari di natura politica. Prima di tornare in incarichi giudiziari delicati, devono respirare di nuovo l’aria della cultura della giurisdizi­one, per essere e anche per apparire di nuovo “indipenden­ti da ogni altro potere”: come prescrive la Costituzio­ne. Altrimenti si dà un segnale devastante ai magistrati.

Quale?

Che vale di più stare fuori ruolo, in posti più prestigios­i e meno stressanti, che non fare i giudici o i pm sotto montagne di fascicoli, spesso sull’orlo del tracollo psicofisic­o, ed esposti a rischi disciplina­ri per ritardi fisiologic­i o errori formali.

Ieri Sangermano, sul

Giornale, trova gravissima la frase che le viene attribuita, secondo cui: “Non esistono politici innocenti, ma solo colpevoli su cui non sono state raccolte le prove”.

Sì, è la stessa che mi attribuisc­e anche Renzi nel suo ultimo libro: sorprenden­te questa assonanza, non trova? Evidenteme­nte i due hanno le stesse fonti, o leggono la stessa pessima stampa. In realtà io parlavo di un processo specifico: quello di Mani Pulite sulla linea 3 della metropolit­ana milanese, dove si dimostrò fino in Cassazione che tutte le imprese consorziat­e versavano la loro quota di tangenti all’impresa capofila, che poi versava l’intera mazzetta al cassiere unico della politica, che poi la distribuiv­a pro quota a ogni rappresent­ante dei partiti, di maggioranz­a e di opposizion­e. È colpa mia se poi sono stati tutti condannati? È il solito giochino che una volta facevano solo certi politici e certi giornalacc­i: prendere una frase e isolarla dal contesto per buttartela addosso. Un giorno il capitano di una nave scoprì che il primo ufficiale di guardia era ubriaco e lo scrisse nel giornale di bordo. Quello, per vendicarsi, scrisse a sua volta: “Oggi il comandante non era ubriaco”. Era la verità, ma quella frase, estrapolat­a dal contesto, sembrò un atto di accusa, come a dire che tutte le altre volte il comandante era ubriaco. Ecco, questi fanno così. Sono ridicoli.

Renzi scrive anche che lei non sa cos’è il garantismo, non conosce Cesare Beccaria. Le rinfaccia una frase di Giovanni Falcone contro i “khomeinist­i” della “cultura del sospetto”. E le rammenta che, per decidere se uno è colpevole o innocente, bisogna attendere la sentenza definitiva.

Deve avere le idee molto confuse. Io, come tutti i magistrati, non mi sognerei mai di condannare qualcuno sapendolo innocente, perchè sono stato educato alla cultura della prova. Noi magistrati esistiamo proprio per distinguer­e fra colpevoli e innocenti. Ma sappiamo anche che non sono le sentenze che debbono selezionar­e la classe dirigente e politica: è la politica che deve fare le sue valutazion­i autonome sul materiale giudiziari­o e decidere se certe condotte già dimostrate in fase di indagine, a prescinder­e dalla rilevanza penale, sono compatibil­i o meno con la “disciplina” e “l’onore” richiesti dall’art. 54 della Costituzio­ne a chi ricopre pubbliche funzioni. Per mandare in carcere qualcuno a espiare la pena, ci vuole la condanna definitiva. Ma per mandarlo a casa, a volte non c’è bisogno nemmeno della condanna di primo grado. Anzi, non c’è neppure bisogno dell’accusa: basta la sua difesa.

Addirittur­a?

Certo. Certi politici si difendono in modo talmente vergognoso che andrebbero mandati a casa solo per quello. Prenda quel dirigente di una Asl lombarda accusato di mafia ( e poi condannato) che, quando emersero le sue intercetta­zioni, si difese dicendo: “Io fin da ragazzo mi diverto a sembrare un mafioso”. C’è bisogno della condanna, per cacciarlo? Ecco: se i politici facessero pulizia al loro interno quando vengono a sapere cose del genere, le nostre indagini e sentenze non creerebber­o alcuna tensione fra giustizia e politica, perché noi processere­mmo solo degli “ex”. Invece se li tengono tutti fino alla condanna definitiva, e spesso anche dopo.

Sangermano dice pure che la legge Severino non poteva essere applicata“retroattiv­amente” aB erlusconi per espellerlo dal Senato.

Sono allibito. Non c’è stata alcuna applicazio­ne retroattiv­a. La decadenza da parlamenta­re prevista dalla Severino non è una sanzione penale,

ma un requisito di onorabilit­à: se la legge dice che i condannati a certe pene per certi reati non possono andare o restare in Parlamento, vale per tutti i condannati, per reati commessi sia prima sia dopo la legge.

Renzi però scrive che prima di entrare in politica né lui né la sua famiglia avevano mai subito indagini, mentre dopo sì. E che un ex deputato di Forza Italia l’aveva avvertito dopo la sconfitta referendar­ia: “Ora partirà l’attacco delle procure ai re nz ian i”. E subito arrivò l’inchiesta Consip.

A parte il fatto che l’inchiesta mi pare sia partita diversi mesi prima, questo lo diceva già Berlusconi, con la medesima attendibil­ità. Ma poi bisogna intendersi: è ovvio che, quando assumi una carica pubblica, sei più esposto di un passante al rischio di indagini giudiziari­e. Nel senso che diventi pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio, funzioni che ti prescrivon­o una serie di regole in più di quelle previste per un privato, e ti espongono anche al rischio di essere denunciato dai cittadini per i tuoi atti. Se invece Renzi vuol dire che per chiunque vada al governo, o perda le elezioni, scatta il complotto giudiziari­o, dice cose insensate.

Lei ha mai avuto offerte ministeria­li?

Quella che sanno tutti: nel 1994 Ignazio La Russa mi voleva ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi. Risposi “no grazie”. Poi non si azzardò mai più nessuno: o sto antipatico a tutti, oppure tutti mi ritengono politicame­nte inaffidabi­le. In ogni caso, me ne vanto.

Ultimament­e la volevano i Cinque Stelle.

Nessuna proposta formale. E, a scanso di equivoci, al loro recente convegno alla Camera ho ribadito che i giudici non dovrebbero mai fare politica, anche se sarebbe assurdo vietarlo per legge (nelle democrazie serie lo si proibisce ai pregiudica­ti, non ai magistrati). Però un protagonis­ta di Tangentopo­li, condannato in via definitiva, ha dichiarato che, se vincono i 5Stelle, Mattarella non darà mai l’incarico a Di Maio, ergo il M5S indicherà me come premier, e sarà la fine. A parte il fatto che è fantascien­za, mi inorgoglis­ce che un pregiudica­to pensi questo di me...

Perché i magistrati non devono fare politica?

Perché non sono capaci, della qual cosa esistono evidenze empiriche. Ha mai visto uno che ha fatto a lungo il magistrato diventare un grande statista? I politici sono, o dovrebbero essere, scelti (cioè eletti) col criterio della rappresent­anza. I profession­isti, con quello della competenza, tant’è che nessuno si farebbe operare da un chirurgo che passa per bravo solo perchè è stato eletto dal popolo. Noi magistrati siamo un’altra cosa: abbiamo le guarentigi­e di indipenden­za proprio per potercene infischiar­e delle critiche dell’opinione pubblica: come potremmo gestire il consenso, se non l’abbiamo mai fatto prima in vita nostra?

La prova empirica sarebbe la produzione legislativ­a delle commission­i Giustizia e del ministero della Giustizia, infarciti di magistrati (oltreché di avvocati)?

Anche. Roba da mettersi le mani nei capelli. Da anni si dice alle procure che, non potendo smaltire tutti i fascicoli, devono privilegia­re quelli per reati più gravi e poi, a scalare, tutti gli altri. Ma ora, nella riforma penale Orlando che entra in vigore il 3 agosto, c’è l'avocazione obbligator­ia da parte delle Procure generali per tutti i fascicoli che i pm non hanno chiuso con una richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazi­one entro 3 mesi dalla scadenza dei termini. Solo che le Procure generali hanno organici molto più ridotti di quelli delle Procure...

E allora?

E allora come fanno a smaltire per tempo i fascicoli che non sono riusciti a evadere nemmeno le Procure? I Pg applichera­nno nei propri uffici i pm delle Procure per farsi aiutare. Cioè: prima dici ai pm di dare la precedenza a certi fascicoli, poi gli fai levare quelli che non han fatto in tempo a smaltire, e infine li chiami a smaltire quelli che gli hai fatto levare. Ma si può andare avanti così? È l’idea balzana che si risolvano i problemi dando degli ordini, peraltro inapplicab­ili, come le gride manzoniane del governator­e Ferrer. Tipo quando Renzi annunciò una legge per fare durare i processi non più di un anno. E perché – risposi io – non sei mesi? O due settimane? Poi c’è l’obbrobrio delle pensioni.

Quale?

Il decreto del governo Renzi che ha anticipato il nostro pensioname­nto dai 75 ai 70 anni e ha lasciato repentinam­ente scoperti 500 incarichi direttivi, portando i vuoti di organico a quota 1200. Siccome, da quando viene bandito un concorso per nuovi magistrati a quando questi entrano in servizio dopo la nomina e il tirocinio, passano 4 anni, noi dell’Anm abbiamo detto: prima reclutate i giovani, poi mandate a casa i vecchi. Conservo la lettera del ministro Orlando che, a nome del governo, si impegnava con l’Anm a prorogare il pensioname­nto di tutti i magistrati a 72 anni fino alla completa copertura dell’organico. Impegno poi incredibil­mente disatteso. Alla Camera, il ministro ha spiegato che l’impegno l’aveva assunto il governo Renzi e ora il governo era cambiato. Pensi se lo stesso discorso l’avesse fatto sui titoli di Stato il ministro dell’Economia e delle Finanze: gli impegni non valgono più perché è cambiato il governo. Sarebbe saltata l’economia italiana su tutti i mercati internazio­nali.

Rimpiange i governi Berlusconi?

Diciamo che il centrosini­stra non li fa rimpianger­e, però ha fatto più danni. Il centrodest­ra faceva leggi terribili, che fortunatam­ente perlopiù non funzionava­no, o venivano dichiarate incostituz­ionali dalla Consulta, o sortivano effetti opposti a quelli sperati. Ma allora almeno il centrosini­stra votava contro, protestava, chiamava la gente in piazza. Ora che quello che non era riuscito a fare il centrodest­ra lo fa il centrosini­stra, il centrodest­ra glielo vota e quasi nessuno protesta.

Ora il governo di centrosini­stra si dibatte fra gli annunci di linea dura sull’immigrazio­ne e lo Ius soli.

Se avessero disciplina­to per tempo l’immigrazio­ne, con la politica dei visti per i Paesi e le posizioni che servivano alla nostra economia (mai sentito proteste per le domestiche filippine), non ci troveremmo a questo punto. Per anni non si sono concessi i visti a nessuno, costringen­do i migranti a entrare clandestin­amente in Italia. Così poi sono arrivate le sanatorie indiscrimi­nate, che generano aspettativ­e di nuovi colpi di spugna, come i condoni edilizi e fiscali. E ora il fenomeno appare incontroll­ato, anche perché le annunciate espulsioni degli irregolari sono solo sulla carta: non si fanno perché mancano sempre i soldi. Si lasciano incancreni­re i problemi e poi li si scaricano sui cittadini. E anche sui magistrati, con reati inutili come quello di clandestin­ità. Che ancora non è stato abolito, anche non risolve nulla, anzi complica le indagini sugli scafisti: non possiamo più sentire i migranti come testimoni, con l’obbligo di dire la verità, ma dobbiamo ascoltarli come indagati, con la facoltà di mentire e di non rispondere.

Lei ripete spesso che l’Anac di Raffaele Cantone serve a poco: non crede nella prevenzion­e anticorruz­ione?

Non credo che la corruzione si combatta con questo tipo di prevenzion­e, che previene poco o nulla. I problemi si prevengono conoscendo­li, e la corruzione si conosce solo facendo le indagini, gli arresti e i processi, non controllan­do la regolarità delle pratiche amministra­tive e burocratic­he. L’esperienza insegna che, quando uno vuole delinquere, sta molto attento a curare la forma per lasciare tutte le carte a posto.

Com’è oggi la magistratu­ra rispetto a 25 anni fa, cioè al tempo di Mani Pulite?

Molto più genuflessa e intimidita di allora. La situazione complessiv­a creata dalla classe politica ha avuto l’effetto di spaventare e piegare molti magistrati. Tra carichi di lavoro massacrant­i, sanzioni disciplina­ri durissime per vizi formali e ritardi naturali, leggi penali e regole processual­i cambiate per mandare in fumo i processi ai colletti bianchi, attacchi politici e mediatici, nomine non trasparent­i, hanno creato un ordine giudiziari­o sempre meno forte, sereno e indipenden­te e sempre più affetto dal carrierism­o e dalla tentazione di cercare santi protettori. Cioè sempre più conformist­a verso chi comanda.

Davvero non si sente un khomeinist­a?

Si figuri. Ho sempre fatto il magistrato allo stesso modo e sono stato attaccato da tutte le parti. Mi han dato ora del comunista, ora del fascista, del servo della Cia e dei servizi segreti, adesso pure del populista e del grillino. Il che, per me, significa essere imparziale. Lo scrisse Piero Calamandre­i a proposito del giudice Aurelio Sansoni, bollato di “p r et or e rosso” perché nel 1922 faceva rispettare la legge dalle camicie nere: se non sei disposto a servire una fazione, devi rassegnart­i all’accusa di essere al servizio della fazione contraria. E dire che, da giovane, quando abbaiavo ai ladri, mi battevano le mani. Poi, salendo il livello dei ladri, ogni volta che abbaiavo hanno cominciato a prendermi a calci.

Le nomine lottizzate di magistrati negli incarichi giudiziari direttivi e semidirett­ivi da parte del Csm, sconcertan­o buona parte dei nostri colleghi Toghe in politica no, perché? Ha mai visto uno che ha fatto a lungo il magistrato diventare un grande statista? Dal M5S nessuna proposta formale. A scanso di equivoci, al loro recente convegno alla Camera ho ribadito che i giudici non dovrebbero mai fare politica

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LaPresse/Ansa Palazzo dei Maresciall­i Una seduta del Csm. Sotto, Pier Camillo Davigo, presidente della II sezione penale della Cassazione
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LaPresse Vicini Matteo Renzi con il vicepresid­ente del Csm Giovanni Legnini, ex sottogreta­rio nel suo governo
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