Persino il cuore dell’uomo più cattivo può cambiare in bene
In questa domenica (e poi nelle due successive) il vangelo propone brani della prima sezione del capitolo XIII di Matteo, un insieme indicato come “il discorso in parabole”. Oggi è proclamato il primo, individuato come la parabola del seminatore ( cf. Matteo 13, 1–23). Prima di accostarci ad essa, però, sembra opportuno accennare ad alcune possibili domande: perché Gesù parla con parabole?
E ANCORA: cos’è, qui, una parabola? Si tratta di un modulo narrativo – un racconto, in genere alquanto breve – che vede accostate due realtà, una delle quali è facilmente inquadrabile in episodi tratti dalla vita quotidiana; l’altra, invece, rimanda a particolari disposizioni personali che, per essere riconosciute, esigono oltre che intelligenza, attenzione, riflessione anche la disponibilità a rivedere la propria condizione di vita. Le due realtà, dunque, benché abbiano delle corrispondenze, non coincidono del tutto ed è per questo che in ogni parabola c’è sempre qualcosa di sfuggente; di provocatorio addirittura. Perché, infatti, si passi dall’una all’altra è necessaria almeno una certa capacità di autocritica; un po’ com’è nel richiamo del poeta latino Orazio:
de te fabula narratur, “non pensare ad altri, perché è proprio di te che io sto parlando”! Comprendiamo, allora, per quale ragione Gesù preferisca comunicare in parabole: “per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaia” ( cf. Isaia 6, 9-10). Sulle labbra di Gesù questa non è parola di condanna, ma la constatazione, dolente e dolorosa, di chi vede una porta sbarrata, un cuore insensibile, una mente gonfia di pregiudizi. Abbiamo un proverbio che ( con delle varianti) dice: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. In questo senso sulle labbra di Gesù la parabola è davvero la “frontiera dell’evangelo” (V. Fusco), la linea che occorre superare per passare da quello che è scontato e tutti potrebbero dire, anche come saggezza umana, a quella Parola che può cambiarti la vita, se l’accogli. “La parabola di Gesù mantiene tutta la sua carica di enigmaticità, lascia all’ascoltatore il compito di comprenderla, lo interpella e lo costringe a interrogarsi, lo coinvolge in prima persona e lo impegna alla ricerca del senso”. Questa citazione di C. M. Martini ci permette di entrare in alcuni aspetti della parabola del seminatore. In essa, difatti, si tratta (ed è lo stesso Gesù a spiegarlo ai discepoli) di un Dio che parla all’uomo, a ogni uomo. Parla “molte volte e in diversi modi”, annota la Lettera agli ebrei (1,1). Perciò nella parabola il seme è gettato su ogni tipo di terreno. San Giovanni Crisostomo osservava che se un contadino disperdesse in tal modo la semente, verrebbe certamente rimproverato. Spiegava, però, che non è questione d’incompetenza, ma d’ottimismo.
DIO SA che il cuore dell’uomo, anche il più incattivito, può cambiare in bene.
Ecco, allora, che se nell’ordine fisico un terreno roccioso non può divenire terra buona, nella relazione con Dio “le pietre possono mutarsi e diventare terra fertile, la via più battuta può non esser più calpestata, ma divenire campo produttivo; anche le spine possono sparire per lasciare crescere e fruttificare in tutta libertà il grano seminato. Se questi cambiamenti fossero stati impossibili, il Signore non avrebbe seminato”. Se è vero che la parabola è una provocazione, vale la pena lasciarsi stimolare da questo divino ottimismo. Lo si dice pure per il compito cristiano di annunciare il Vangelo. Un dovere di farlo a somiglianza del gesto largo del seminatore, rivolto sia verso i terreni ritenuti fertili, sia verso quelli immaginati non produttivi. * Vescovo di Albano
“SEMINATORE” Con questa parabola – seme gettato su ogni tipo di terreno – si conferma il divino ottimismo dal quale vale la pena lasciarsi stimolare