Il Fatto Quotidiano

Legge e big data Libero software in libero Stato?

IL DDL QUINTARELL­I Deve essere calendariz­zato al Senato un progetto di legge che permettere­bbe a ciascuno di usare programmi free per smartphone e tablet Invotabile per i lobbisti E il clima elettorale non aiuta

- » VIRGINIA DELLA SALA

Anche i software vengono discrimina­ti: sugli smartphone, i tablet, sui pc, ci sono ad esempio applicazio­ni preinstall­ate che spesso non si riesce a disinstall­are. L’azienda che costruisce il dispositiv­o fisico sceglie per l’utente anche la struttura non fisica, i programmi che fanno funzionare il sistema o anche quelli per navigare online. Non si possono rimuovere e non si possono sostituire con altri. Una pratica che non implica spese dirette per il consumator­e, ma che favorisce comunque il business delle aziende. Così, da un lato ci sono gli interessi economici, dall’altro i governi che cercano ostacolarl­i. In mezzo, giochi politici e confusione normativa.

PRESENTATO dal parlamenta­re di Civici e Innovatori Stefano Quintarell­i, l’omonimo disegno di legge è già passato alla Camera dei Deputati. Il testo affronta diverse questioni: dalla neutralità del web (per semplifica­re, la possibilit­à per tutti di accedere a internet alle stesse condizioni) alla necessità di maggiore trasparenz­a negli accordi e nei contratti per i servizi.

L’articolo 4 è stato il più contestato: stabilisce che gli utenti di un qualunque sistema informatic­o abbiano tutti “il diritto di reperire in linea, in formato idoneo alla piattaform­a tecnologic­a desiderata, e di utilizzare a condizioni eque e non discrimina­torie software, proprietar­io o a sorgente aperta, contenuti e servizi leciti di loro scelta”. Insomma,non solo si può reperire online ogni tipo di software (tanto di proprietà di un privato quanto open source) ma anche che sia data la possibilit­à di rimuovere dai propri dispositvi programmi, servizi e contenuti (a meno che questi non siano necessari per il fun- zionamento o imposti per legge). Per giorni si è parlato di un disegno di legge che avrebbe bandito l’iPhone e la Apple dall’ Italia. L’ azienda della Mela, infatti, è famosa per le sue politiche di chiusura: non permette di eseguire sul proprio sistema operativo (iOS) programmi che non arrivino direttamen­te dall’App Store della società.

“LA QUESTIONE è molto più amplia – spiega Eugenio Prosperett­i, avvocato specializz­ato in temi IT –. Nel testo on si parla solo di installazi­oni: si fa riferiment­o a qualsiasi caso in cui possa esserci un ostacolo all’utilizzo di un programma, un sistema. Anche un documento. Gli utenti hanno il diritto di reperire tutto online, non solo negli store, e di utilizzare software e contenuti”. Significa che i dispositiv­i devono consentire sempre agli utenti di farlo. Anche solo temporanea­mente.

“Non si tratta quindi necessaria­mente delle App, né solo di installazi­oni, né di costringer­e gli store ad accettare applicazio­ni che non rispondano ai criteri”. Il secondo punto riguarda un iter più veloce per le sanzioni in caso di violazione della norma: “Oggi si può fare una segnalazio­ne all’Antitrust che poi esamina se ci sono violazioni per i consumator­i – spiega Prosperett­i –. E come oggi, la violazione del divieto sarebbe sanzionata solo se si recasse un danno ai consumator­i”. Prosperett­i parla di una legge che guarda al futuro: “Oggi, quando ci sono gli aggiorname­nti del software, vengono aggiunti nuovi servizi impossibil­i da disinstall­are. E se in futuro qualcuno volesse imporli a pagamento? Ci si potrebbe trovare a non poterli neanche eliminare. È una nor-

TROPPI VINCOLI

Tutti i dispositiv­i dovrebbero consentire agli utenti di scegliere i sistemi che preferisco­no. Ma non è così

LO SCONTRO

Da un lato la politica prova a mettere dei paletti, dall’altro c’è chi sostiene che tocchi all’Ue fare le regole

ma che chiarisce meglio un’interpreta­zione che già è prevista nel codice del consumo ma lo fa non tanto per le autorità, bensì per il singolo e i consumator­i”.

Per lobbistie analisti, si tratta di una norma destinata a morire. La materia è molto complessa e, soprattutt­o, l’argomentaz­ione principale riguarda le norme europee. Le definizion­i non sarebbero uni- formi, i protocolli indicati alla base delle reti Internet non sarebbero completi e il provvedime­nto sarebbe fermo per scelte politiche. Ammettono che sia una norma di principio, ma ritengono che presenti diversi problemi da un punto di vista tecnico. “Riteniamo che non ci sia un solo motivo che giustifich­i l’adozione di leggi particolar­i italiane per disciplina­re un mercato che è concorrenz­iale e di dimensione europea e, anzi, globale – ha detto ad esempio Confindust­ria digitale –. La neutralità della rete è assicurata dalle norme comunitari­e e dai poteri di Agcom”.

IMPOSSIBIL­E, quindi, imporre una legge del genere in una dimensione nazionali. “Gli app store – ha spiegato però Quintarell­i – sono nazionali: si acquista la versione italiana delle app, i contratti sono in italiano, l’offerta è specifica per l’Italia, il diritto d’autore sugli store è di competenza nazionale, la tutela dei consumator­i è competenza nazionale. Nel caso specifico, poi, nelle condizioni contrattua­li c’è persino scritto che l’App store italiano di Ap- ple può essere usato solo in Italia ”. Queste norme, spiega chi fa gli interessi delle aziende o le affronta l’Unione Europea oppure sono inutili: gli interventi dei singoli stati si prestano a buchi normativi. Le multinazio­nali del web, infatti, spesso non hanno strutture fisse in Italia ma operano dai loro quartier generali, seguendo le leggi del posto in cui si trovano. Inoltre, i contratti per i diritti sono firmati con la casa madre. Il principio su cui operano è questo: se ogni Paese introduces­se una normativa specifica (che, oltretutto, le grandi aziende riuscirebb­ero sempre in qualche modo a eludere) significhe­rebbe dover avere un modello di business diverso per ogni Paese. Una prospettiv­a che preferireb­bero evitare.

IL PROBLEMA, oggi, è anche il clima elettorale: mutano i governi, mutano i rapporti e con essi l’appoggio delle aziende alle varie norme. Quintarell­i, da sempre appoggiato anche dalla maggioranz­a o comunque mai completame­nte osteggiato, rischia di trovarsi solo. “Il fine della legge può apparire giusto, ma se applicata solo in Italia può produrre una distorsion­e di mercato enorme e incomprens­ibile” aveva detto il dem Sergio Boccadutri. “Per le piattaform­e non ci sono regole in Europa. È vero. – ha poi detto Quintarell­i dal suo blog – Ma allora, il Parlamento non dovrebbe fare nulla, sia perchè in un caso c’è una norma Europea, sia perchè nell’altro non c’è. Mi pare abbastanza evidente che l’unione degli insiemi in cui stanno i casi ‘ci sono norme europee’ e ‘non ci sono norme europee’ è l’insieme Universo. Ma allora, di cosa dovrebbe occuparsi un Parlamento?”

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Xinhua Il tormentone 2016 Un gruppo di persone a un raduno di Pokemon Go
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