Pinuccio Tatarella, il filosofo Vico e un post fascismo senza apologie
Il pensatore napoletano era per lui l’argomento definitivo per portare il Meridione alla dimensione più alta
Flavia Piccoli Nardelli, presidente della commissione Cultura della Camera dei Deputati, organizza i lavori d’esame della proposta di legge Distaso sull’istituzione del Premio biennale Giuseppe Tatarella, avvia l’audizione e ci si ritrova dunque ad argomentare – c’è anche Peppino Caldarola, ex direttore de l’Unità – i motivi tutti a favore del perché Pinuccio era così meravigliosamente Pinuccio.
“Perché lavorava alla concordia degli italiani, tutti”, dice appunto Caldarola. Perché da “ministro dell’Armonia” – questa è la definizione che lo ricorda – il vice di Silvio Berlusconi, esponente del galantomismo meridionale, si adopera nel miracolo di farla finire davvero l’eterna Guerra Civile. E non solo quella ideologica – nell’Italia di “mani pulite” si precipita a Bergamo da Antonio Di Pietro – ma anche quella culturale.
Da ministro, infatti – esponente della destra alla prova con un governo nazionale – Pinuccio è il primo interlocutore di Gerardo Marotta il cui Istituto di Studi Filosofici, a Napoli, necessita di sostegno finanziario. E lo è per anche per l’Istituto Gramsci con Beppe Vacca che neppure per un attimo dubita di Pinuccio, sollecito affinché quella officina della pur potente “egemonia culturale” non sia privata del sostegno delle istituzioni.
NEI GIORNI in cui è vice-presidente del Consiglio Pinuccio invita a Palazzo Chigi Carmelo Bene che non trova schierati – come farà Berlusconi con Paolo Bonolis – i Lancieri di Montebello ma un Lorenzaccio pronto a provarle tutte fino a fare marameo, salutare il governo, lasciare Roma, e tornare a Bari come assessore alla cultura e lì realizzare la sua idea fissa: restituire all’Italia Giambattista Vico.
Vico, per Pinuccio, è l’argomento definitivo per portare il Meridione alla dimensione più alta. Il filosofo della Scienza Nuova, se solo fossimo tedeschi sarebbe come minimo un Gottfried Leibniz ma per noi – provinciali quali siamo – è solo un paragrafo dei manuali scolastici; e Pinuccio che passa giornate intere a ritagliare giornali, si segna una frase di Massimo Cacciari: “Uno che è nato a Castelvetrano ha zero probabilità di essere letto a Heidelberg. L’ultimo cretino di Heidelberg ha molte probabilità di essere letto a Castelvetrano”. L’audizione della Commissione trasloca nella tana degli affetti, una dolcissima trappola sentimentale, ed ecco che con Pinuccio fa capolino il cronista de l’Unità che lo segue sempre: Stefano Di Michele, scelto apposta da Caldarola e da Walter Veltroni “perché il più bravo”, dice il suo ex direttore.
E Stefano “che è morto comunista”, ricorda ancora Caldarola, diventa amico di Pinuccio e con lui sperimenta la compiuta pacificazione: ideologica, culturale, esistenziale.
Se Premio Tatarella ci sarà il premio postumo andrà di certo alla memoria di Stefano Di Michele.