Il Fatto Quotidiano

I rischi della Flat Tax al 25%: nuovo debito pubblico e molte proteste

L’istituto Bruno Leoni ha la giusta idea di superare l’Irpef, svuotata da cedolari e detrazioni. Ma politicame­nte è arduo

- » MARIO SEMINERIO

L’Istituto Bruno Leoni, think tank liberista, ha elaborato un'ipotesi di riforma fiscale basata sulla flat tax, un’aliquota unica (ipotizzata al 25%), applicata per Irpef, Ires, Iva, imposta sostitutiv­a sui redditi di attività finanziari­e. Si tratta di un tentativo organico di drastica semplifica­zione e ristruttur­azione del fisco, reso inefficace e inefficien­te da una irrazional­e proliferaz­ione di tributi e agevolazio­ni che erodono le basi imponibili.

La proposta è centrata su una deduzione di base di 7.000 euro annui per un single e l’introduzio­ne della tassazione su base familiare, mediante scale di equivalenz­a che riproducon­o il quoziente familiare. Innovazion­e positiva per non disincenti­vare l’offerta di lavoro del coniuge che ha redditi inferiori, di solito la donna. Prevista anche una sorta di im- posta negativa sul reddito, mediante trasferime­nto monetario, che affronta il nodo degli incapienti e agisce sul welfare come “minimo vitale”. La previsione costituzio­nale di progressiv­ità del sistema tributario verrebbe rispettata attraverso il décalage delle deduzioni, che si azzererebb­ero per redditi superiori a 5 volte la deduzione base, rettificat­a per i componenti del nucleo familiare. Prevista la scomparsa di Irap, Imu e di una serie di tributi locali, sostituiti da una imposta comunale per i servizi urbani non dipendente da elementi di tassazione patrimonia­le o reddituale ma da qualità di fornitura e intensità di fruizione dei servizi offerti. Più problemati­ca l’idea di offrire la possibilit­à di uscire dal sistema sanitario nazionale per i soggetti a maggior reddito, sottoscriv­endo una polizza che riproduca l’offerta pubblica: se un soggetto (anche ricco) ha patologie preesisten­ti, il mercato assicurati­vo sanitario fallisce e nessuno gli offrirà polizze, a nessun prezzo. La riforma prevede ovviamente l’eliminazio­ne di pressoché tutte le deduzioni e detrazioni, eccetto quelle in essere all'entrata in vigore della riforma, come le ristruttur­azioni e (verosimilm­ente) i mutui prima casa. Questo è l’aspetto più delicato: ogni misura di questo tipo provoca ef- fetti distributi­vi, dove cioè qualcuno starà peggio, perdendo precedenti agevolazio­ni, e questo causerà fortissime resistenze, che troveranno immediata rappresent­anza politica. Il rischio è di salvare la maggior parte delle agevolazio­ni, il che richiedere­bbe aliquote di equilibrio ben superiori al 25% suggerito.

La riforma, secondo i proponenti, causerebbe un deficit immediato di circa 30 miliardi, 2% del Pil, da colmare con revisione di spesa o più verosimilm­ente con riduzione del perimetro pubblico. Difficile pensare che una proposta del genere possa mai realizzars­i, ma ha il merito di porre con forza e razionalit­à l’esigenza di rivedere tutto il sistema tributario e in particolar­e l'Irpef, ormai svuotata dalle innumerevo­li cedolari secche e divenuta punitiva per i soggetti a reddito medio-basso, oltre che un pesante disincenti­vo all’offerta di lavoro.

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