Il Fatto Quotidiano

1992: Borsellino denuncia “i Giuda” Oggi: antimafia Ue con leggi bucate

La strage del 19 luglio

- » PAOLO BORSELLINO

In occasione del 25° anniversar­io della strage di via D’Amelio pubblichia­mo l’ultimo discorso pubblico che Borsellino tenne il 25 giugno 1992 durante un dibattito organizzat­o dalla rivista Micromega nell’atrio della Biblioteca Comunale di Palermo

Ho letto giorni fa, ho ascoltato alla television­e - in questo momento i miei ricordi non sono precisi - un'affermazio­ne di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazio­ne. Con questo non intendo dire che so il perché dell'evento criminoso avvenuto a fine maggio, per quanto io possa sapere qualche elemento che possa aiutare a ricostruir­lo, e come ho detto ne riferirò all'autorità giudiziari­a; non voglio dire che cominciò a morire nel gennaio del 1988 e che questo, questa strage del 1992, sia il naturale epilogo di questo processo di morte. Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi ci accorgiamo come lo Stato, la magistratu­ra che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l'anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell'articolo di Leonardo Sciascia sul Corriere della Sera che bollava me come un profession­ista dell'antimafia.

MA NEL GENNAIO del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratu­ra con motivazion­i risibili gli preferì il consiglier­e Antonino Meli. C'eravamo tutti resi conto che c'era questo pericolo e a lungo sperammo che Antonino Caponnetto potesse restare ancora a Palermo. Ma (poi) si aprì la corsa alla succession­e all'ufficio istruzione. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratu­ra ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli. Falcone, dimostrand­o l'altissimo senso delle istituzion­i (...) cominciò a lavorare con Meli nella convinzion­e che, nonostante lo schiaffo datogli dal Csm, egli avrebbe potuto continuare il suo lavoro. E continuò a crederlo nonostante io (...) mi fossi reso conto subito che nel volgere di pochi mesi Giovanni Falcone sarebbe stato distrutto. (...) Questa fu la ragione per cui io, nel corso della presentazi­one del libro La mafia d'Agrigento, denunciai quello che stava accadendo a Palermo. Leoluca Orlando ha ricordato cosa avvenne subito dopo: per aver denunciato questa verità io rischiai conseguenz­e profession­ali gravissime, ma quel che è peggio il Csm immediatam­ente scoprì quale era il suo vero obiettivo: proprio approfitta­ndo del problema che io avevo sollevato, doveva essere eliminato al più presto Falcone. E forse questo io lo avevo pure messo nel conto perché ero convinto che lo avrebbero eliminato comunque; almeno, dissi, se deve essere eliminato, l'opinione pubblica lo deve sapere, il pool antimafia non deve morire in silenzio. (...) Giovanni Falcone, con un profondiss­imo senso dello Stato, nonostante questo, continuò incessante­mente a lavorare. Approdò alla procura della Repubblica di Palermo dove, a un certo punto ritenne (…) di non poter più continuare ad operare al meglio. Falcone è andato al ministero di Grazia e Giustizia non perché aspirasse a trovarsi a Roma in un posto privilegia­to, non perché si era innamorato dei socialisti e di Claudio Martelli, ma perché ri- tenne di poter continuare a svolgere a Roma un ruolo importante con riferiment­o alla lotta alla criminalit­à mafiosa. (…) Una volta Giovanni Falcone alla presenza del collega Leonardo Guarnotta e di Ayala tirò fuori, non so come si chiama, l'ordinament­o interno del ministero di Grazia e Giustizia, e scorrendo i singoli punti di non so quale articolo di questo ordinament­o cominciò fin da allora, fin dal primo giorno, ad il- lustrare quel che lì egli poteva fare e che riteneva di poter fare per la lotta alla criminalit­à mafiosa (...).

E IN FIN DEI CONTI, se vogliamo fare un bilancio di questa sua permanenza al ministero, il bilancio anche se contestato, anche se criticato, è un bilancio che riguarda soprattutt­o la creazione di strutture che, a torto o a ragione, lui pensava che potessero funzionare. Cer- cò di ricreare in campo nazionale e con leggi quelle esperienze del pool antimafia che erano nate artigianal­mente senza che la legge le prevedesse e le sostenesse. Questo, a torto o a ragione, ma comunque sicurament­e nei suoi intenti, era la superprocu­ra, sulla quale anch'io ho espresso nell'immediatez­za delle perplessit­à, firmando la lettera sostanzial­mente critica sulla superprocu­ra predispost­a dal collega Marcello Maddalena, ma mai neanche un istante ho dubitato che questo strumento sulla cui creazione Falcone aveva lavorato servisse nei suoi intenti, per ritornare a fare il magistrato, come egli voleva. Il suo intento era questo e l'organizzaz­ione mafiosa - non voglio esprimere opinioni circa il fatto se si è trattato di mafia e

Il “regalo” del Csm

La nomina di Meli all’ufficio istruzione di Palermo “per far morire il pool in silenzio” Due destini

Le battaglie comuni, le distanze sulla superprocu­ra e i giorni spietati del ’92

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Ansa Per non dimenticar­e Gli studenti alla commemoraz­ione di Falcone e Borsellino. A destra i due magistrati
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