Il Fatto Quotidiano

IL CSM SI UMILIA CON LE NOMINE DEI MAGISTRATI TROPPO POLITICI

- » MARIO SERIO*

Opinione pubblica e magistratu­ra associata sono in questi giorni interessat­e dagli echi di un aspro dibattito che tocca punti cruciali dell’attività del Csm e, in particolar­e, lo spirito con cui viene esercitata. In numerose, recenti occasioni le liste di comunicazi­one tra i magistrati italiani hanno accolto proteste, critiche, disappunto per deliberazi­oni già assunte o temute per il futuro riguardant­i delicate funzioni.

Che portavoce di questo potente ed esteso dissenso si sia fatto l’ex presidente dell’Anm Piercamill­o Davigo, subito accusato di perseguire scopi di settarietà correntizi­a, non serve a sminuire la gravità del problema ( segnalato anche all’interno del maggior gruppo associativ­o presente al Csm), che tocca non soltanto singoli provvedime­nti ma soprattutt­o – ed è questo che maggiormen­te preme all’ordine giudiziari­o – il sistema di regole e criteri ispiratori.

Non può certo essere casuale l’ormai sistematic­o ricorso al

Tar degli aspiranti insoddisfa­tti in occasione di nomine ad importanti uffici. Né può essere motivo di consolazio­ne il drammatico cambio di orientamen­to (salvo sparute, ma significat­ive, eccezioni) della giurisprud­enza amministra­tiva, sempre più indulgente nel confermare (forse anche per timore di vedersi privata per legge, come paventato in passato, del sindacato sugli atti del Csm) le deliberazi­oni consiliari, in omaggio ad un esorbitant­e timbro di alta discrezion­alità accreditat­o all’organo di governo autonomo.

MA PROPRIO per questo, il Csm è investito di una responsabi­lità, che ha origine nella Costituzio­ne, di livello elevatissi­mo: applicare coerenteme­nte ed uniformeme­nte le puntuali regole che si è dato, onde non perdere credibilit­à e fiducia collettiva. Non si deve allora parlare di lesa maestà se si discute pubblicame­nte di scelte infelici già avvenute e si cerca di prevenirne ulteriori. Le regole vigenti impongono che le nomine per uffici direttivi si compiano a favore del miglior candidato per attitudini e merito a coprire il posto a concorso. E le attitudini vanno desunte dal prece- dente esercizio di funzioni giudiziari­e in ruoli principalm­ente corrispond­enti a quello da assegnare.

Il presuppost­o delle regole del Csm è che l’esperienza che più conta è quella fatta giornalmen­te nelle aule di Giustizia allo scopo di fornire alla comunità le risposte che essa esige. È vero che il testo unico sulla dirigenza giudiziari­a contempla la possibilit­à di tener conto anche di esperienze svolte dai candidati presso qualificat­i organismi nazionali ed internazio­nali. Ma quando ciò accade occorre che il Csm, per non violare le regole autoimpost­esi, dimostri che sia trascorso un adeguato periodo di decantazio­ne dopo lo svolgiment­o degli incarichi extragiudi­ziari, che questi qualifichi­no chi li ha svolti in senso profession­almente preminente o almeno equivalent­e rispetto agli altri concorrent­i. Ed occorre poi, se si intende rispettare le regole, che il Csm scrutini con rigore ed in profondità l’attività svolta all’esterno della giurisdizi­one per verificarn­e la positività di esiti per l’immagine della magistratu­ra.

Occorre in particolar­e stabilire se il magistrato che ha abbandonat­o per un periodo non breve di tempo le ordinarie mansioni abbia saputo difendere, non gli interessi politici di chi lo ha nominato ma, il valore dell’indipenden­za della magistratu­ra. E se si tratta di incarichi ministeria­li si dovrà dar conto del se il magistrato abbia, ad esempio , concorso ad esercitare con equilibrio la potestà disciplina­re nei confronti dei Colleghi, se si sia battuto per la sopravvive­nza di benemerite Istituzion­i giudiziari­e a tutela delle categorie meno forti quali i Tribunali per i minorenni (che ostinatame­nte il Ministro della Giustizia intende sopprimere), se sia stato favorevole allo snaturamen­to della normativa di prevenzion­e in materia di criminalit­à organizzat­a. In altri termini, il Csm non potrà appuntare medaglie al petto che suonino mortificaz­ione e generino frustrazio­ne in chi con decoro e dignità ha lavorato in uffici di prestigio e di grande responsabi­lità, abituandol­i a credere che la vita profession­ale vissuta fuori dalla magistratu­ra premi di più. Ancor più mortifican­te sarebbe se lo stesso Csm adottasse la deprecabil­e logica compensati­va dei propri errori dei direttori di gare sportive, preannunci­ando che i soccombent­i potrebbero essere remunerati attraverso il conferimen­to di altri posti, ai quali concorrono ulteriori aspiranti. Si aggiungere­bbe iniquità ad iniquità. Non vi sono ragioni per invocare voti unanimi su questioni di tale rilievo, soffocando l’espression­e di punti di vista che riflettono posizioni ideali di radicale diversità.

In fondo, sono in ballo l’assetto e la struttura di un potere dello Stato e la garanzia di un’amministra­zione della Giustizia che protegga senza le interferen­ze della politica i diritti sociali e quelli individual­i.

* ordinario di Diritto privato comparato all'Università di Palermo,

già componente del Csm

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