Bankitalia, Consob e Difesa: le nomine targate Chigi-Colle
Il premier è intoccabile: Europa e Quirinale chiedono che sia lui - e non il giro renziano - a rifare i vertici del Paese
Con un comunicato di quattro righe che ha rimandato lo Ius Soli a settembre e pure le pretese di Matteo Renzi, il cauto Paolo Gentiloni s’è conquistato un’immunità parlamentare che fa veleggiare il governo verso le elezioni di primavera. Per il sollievo del Quirinale e dei capi d’Europa, sempre più diffidenti nei confronti del renzismo.
Questo sistema di potere, di relazioni e di istituzioni protegge il presidente del Consiglio e gli affida un compito delicato, da espletare entro il voto del 2018 che, con una legge elettorale proporzionale, condanna l’Italia a un periodo indefinito di fragilità politica. Toccherà a Gentiloni, l’uomo che Renzi s’illudeva di dominare da Pontassieve, imbullonare lo Stato prima della buriana elettorale con una caterva di nomine: dagli apparati di sicurezza ai massimi organismi di controllo. Il calendario propone una sequenza di scadenze che, in pratica, consentono a Palazzo Chigi di ridisegnare adesso una struttura statale capace di sopravvivere al futuro. E chi gestisce le nomine, gestisce tutto.
IL 31 OTTOBRE finisce il mandato settennale in Banca d’Italia del governatore Ignazio Visco. Renzi ha vissuto l’esplosione della crisi bancaria (da Etruria in poi, con tutti gli errori scoperti troppo tardi) come uno sgarbo personale, e vuole cacciarlo. Il Quirinale intende tutelare la sacralità inviolabile di Bankitalia: bocciare il governatore uscente la indebolirebbe parecchio. Ignorando i desideri di Renzi, Visco sarà riconfermato sull’asse Colle-Chigi. E se l’ex premier fa troppa resistenza, c’è già il piano di riserva: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che invece di inseguire l’ennesima deriva anti-europea di Renzi sul Fiscal Compact, si è schierato sul solido europeismo di Gentiloni e Mattarella.
Il 15 dicembre si congeda anche Giuseppe Vegas dalla Consob, l’autorità che vigila sulla Borsa. E spetterà a Gentiloni, in assoluta autonomia ( non deve neppure sentire il Tesoro), scegliere l’erede di Vegas e il commissario vacante, dopo le dimissioni di Paolo Troiano. Per la fine del 2017, Palazzo Chigi dovrà rimpolpare l’organico della Corte dei Conti con 15 giudici e quello del Consiglio di Stato con 9 consiglieri, di cui 7 già pronti a essere designati. A inizio 2018 Gentiloni, ancora, deve riempire due caselle di peso. In gennaio scade Tullio Del Sette, comandante generale dei Carabinieri, indagato nell’inchiesta Consip con l’accusa di favoreggiamento e di rivelazione di segreto istruttorio. Il mese dopo, in febbraio, è il turno di Danilo Errico, capo di Stato maggiore dell’Esercito. Certo, Gentiloni può prorogare entrambi di qualche mese, ma non deve consultare Renzi. Con un po’ di anticipo, per non lasciare l’incombenza al successore (semmai ce ne fosse uno), Gentiloni può intervenire sui servizi segreti esteri dell’Aise e sul direttore Alberto Manenti, in scadenza. Anche tutte le altre cariche della sicurezza hanno un mandato biennale, per precisa scelta di Renzi nel 2016, in modo da permettere il rinnovo all’inizio della nuova legislatura. Il fatto che Gentiloni abbia conservato le deleghe in materia di intelligence impedisce agli uomini del leader Pd – a cominciare da Luca Lotti, gran manovratore di nomine in ogni sottobosco – di fare le proprie mosse su quel sensibile terreno. Sui servizi segreti, così come per la Difesa, gli interlocutori di chi per professione sussurra candidati e assetti sono soltanto due: Paolo Gentiloni e Sergio Mattarella.
ANCHE LE GRANDI PARTITE economiche non passano più da Pontassieve: la più rilevante riguarda la Cassa depositi e prestiti. Il presidente Claudio Costamagna e l’amministratore delegato Fabio Gallia hanno ancora un anno per completare il piano industriale, obiettivo prefissato un paio di anni fa, quando Renzi li promosse li- cenziando bruscamente Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini. Poi potrebbero ritornare nel settore privato da cui provengono. La scadenza sembra lontana, ma il momento in cui si imposterà il quadro per l’ipotetico cambio è vicino, già in autunno, in assenza di elezioni anticipate si capirà se bisogna trovare sostituti per Costamagna e Gallia. E comincerà il lungo negoziato.
Gentiloni è un politico pacifico, non scontenta i ministri perché asseconda le ambizioni e le richieste di ciascuno, non s’avvale di cortigiani se non di sentinelle ben distribuite fra i corridoi di Palazzo Chigi. Dove il sottosegretario Maria Elena Boschi è confinata a un ruolo meramente burocratico.
Gentiloni approva, respinge e rilancia, il Quirinale acconsente. E viceversa. Più che esercitato, il potere di Gentiloni è incarnato proprio per la robusta sintonia con il Colle. “Non basta avere ragione, bisogna avere anche qualcuno che te la dia”, ammoniva Giulio Andreotti. Il vantaggio del premier è che il Quirinale non gli nega mai la ragione. Lo svantaggio di Renzi è che, ormai, soltanto i pochi adulatori rimasti gli danno ragione.
Agenda e scadenze Palazzo Chigi deve scegliere 15 giudici della Corte dei Conti, i capi di Esercito e Carabinieri