Il Fatto Quotidiano

Roger Federer, le quattro vite del folle maturato

- » ANDREA SCANZI

Il campione che ha vinto tutto e ancora non gli basta, ha vissuto almeno quattro vite. La prima, da iconoclast­a spensierat­o e fenomenale, che spaccava racchette, si tingeva i capelli come Mirko di Kiss Me Licia e poteva forse accontenta­rsi di vivere una carriera da Fognini molto più forte. Non si è accontenta­to. Giunse quindi la seconda vita, quella della dittatura livida e garbatamen­te efferata. Sangue ovunque degli avversari, ridotti a meri e spesso pavidi vassalli. Fu il tempo della dittatura algida: Federer, da potenziale Gilles Villeneuve, divenne un Prost che non sbagliava (quasi) mai. Un Michael Schumacher pressoché infallibil­e. Un talento inaudito, un genio totale, un fenomeno forse senza pari. Poiché però gli avversari non c’erano, o se c’erano marcavano quasi sempre visita, se eri uno spettatore neutrale – e non un fan di strettissi­ma osservanza – qualche sbadiglio veniva. Come quando ascolti un disco dove non c’è una nota fuori posto o come quando guardi una donna bellissima, che ti appare così perfetta da risultare per contrasto fredda. Troppo fredda.

ECCO ALLORA che, con mite inesorabil­ità, giunse la terza vita. Rafael Nadal costrinse Federer a scoprire una cosa che neanche concepiva, al punto da piangere infantilme­nte quando capitava: la sconfitta. Spesso Roger ci perdeva per motivi poco tecnici e molto freudiani, quasi che Rafa – pr im ’ ancora che tennista – f os se kryptonite iberica ideata a sua misura. Così, pur continuand­o a vincere, Federer non fu più dittatore. Gli storici, sul pianeta Terra come su Plutone, chiamerann­o quella fase “autunno del patriarca”. Sembrava il tramonto. Sembrava. Quando nessuno ne avrebbe probabilme­nte avvertito il bisogno, il più che trentenne Federer ha deciso di migliorars­i ancora. Di non arrendersi. Di concepire, almeno, un ultimo colpo di coda epocale. Contro il tempo, contro gli infortuni: forse perfino contro la logica. Prima ha chiesto aiuto a Stefan Edberg, e solo per questo meriterebb­e peana eterni. Poi si è affidato a Ivan Ljubicic, che da giocatore umiliava con sadismo sordo alla pietà. Nel mezzo c’è stato il suo annus horribilis: il 2016. Tutto è andato male. Capolinea? Non esattament­e: di là dal tunnel, la quarta vita. Il presente. L’epifania.

L’ottavo Wimbledon (ennesimo record) vinto due giorni fa è apparso addirittur­a normale: l’epica c’era, c’è e ci sarà, ma quando vinci triturando tutto e non lasciando neanche un set ai rivali, come aveva peraltro fatto il mese prima Nadal (un altro “ritornante” miracoloso) a Parigi, lo strapotere è tale che non viene quasi neanche voglia di esultare. Infatti, mentre il mondo esondava già di enfasi e retorica, lui ha reagito con umanissima incredulit­à. Se l’Australian Open di gennaio è stata impresa, il Wimbledon di domenica è stata “solo” constatazi­one di una natura agonistica­mente divina. Nel bruttissim­o tempo in cui Djokovic e peggio ancora Murray sembravano i più vincenti, rivedere Federer sul tetto di uno o più Slam non appariva un’ipotesi percorribi­le. Anche per chi scrive: che bello, a volte, sbagliare. Roger Federer ha vinto tutto: 19 Slam, 6 Tour Finals, 93 tornei, una Coppa Davis, due medaglie d’oro alle Olimpiadi. Non gli manca nulla, se non la fame di se stesso e dell’arte che ama. Su questo gli storici si dividerann­o, ma delle sue quattro vite le più belle ci sembrano – senza dubbio alcuno – la prima e l’ultima. Prima la follia non ancora irreggimen­tata, poi questa maturità che trasuda oltremodo incanto. Onore a te, Campione.

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