Il Fatto Quotidiano

Ergastolo dopo 34 anni: “Ha ucciso il procurator­e”

Processo Caccia, condannato Schirripa per l’omicidio del capo dei pm di Torino nell’83. Il peso della ’ndrangheta, il buco del movente

- » ANDREA GIAMBARTOL­OMEI

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di 34 anni sono passati e da ieri c’è un nuovo colpevole per l’omicidio di Bruno Caccia, il procurator­e capo di Torino assassinat­o il 26 giugno 1983. La Corte d’assise di Milano ha condannato all’ergastolo Rocco Schirripa, panettiere di 64 anni con precedenti per i suoi legami con la ’ndrangheta e il traffico di droga. “Sono il capro espiatorio che l’accusa voleva trovare a tutti i costi – ha detto lui, assistito dagli avvocati Basilio Foti e Mauro Anetrini, ieri mattina alla Corte –. Non c’è niente di più facile che dare la colpa a uno che ha precedenti con la giustizia e che è calabrese”. Secondo il collegio presieduto Ilio Mannucci Pacini, Schirripa è uno degli autori dell’omicidio. Un mandante era già stato condannato in passato: è Domenico Belfiore, capo della criminalit­à calabrese. “Sono terrone e sono compare di Belfiore, il soggetto perfetto per l’accusa”, ha aggiunto ieri. Belfiore, scarcerato nell’estate 2015 per gravi problemi di salute, era tornato in contatto con quel pezzo di mondo a cui appartenev­a anche suo cognato, Placido Barresi, in passato accusato e poi assolto per l’omicidio.

GLI INVESTIGAT­ORI d el la Squadra mobile di Torino hanno cercato di farli uscire allo scoperto inviando via posta un vecchio articolo di cronaca de La Stampa in cui comparivan­o i nomi dei sospettati per l’assassinio del magistrato incorrutti­bile e inavvicina­bile che intaccava gli affari illeciti. Tra questi nomi anche quello di Schirripa detto “Barca”: “Ti sei fatto 30 anni tranquillo, fattene altri 30 tranquillo”, gli aveva det- to Barresi il 27 novembre 2015.

Meno di un mese dopo, il 22 dicembre, per “Barca” sono scattate le manette e poi il processo immediato, procedimen­to ricomincia­to da capo per un errore della Procura.

Una parte degli atti dell’inchiesta è diventata inutilizza­bile, ma il sostituto procurator­e Marcello Tatangelo è stato in grado di riprendere dall’inizio e chiedere la condanna: “È colpevole al di là di ogni ragionevol­e dubbio”. Il pm è certo che facesse parte del gruppo di fuoco, ma non è sicuro che sia stato lui a premere il grilletto. Secondo le figlie di Caccia, Paola e Cristina, assistite dall’avvocato Fabio Repici, “non è ancora stata fatta completame­nte giustizia”. Il movente dell’omicidio “è ancora generico” e “non è ancora chiaro che ruolo abbia avuto Schirripa”. “Avevamo indicato degli indizi per una pista alternativ­a – hanno aggiunto – ma ci è

Ultime parole in aula L’imputato prima della sentenza ha sbottato: “Mi condannate perché sono terrone”

stato detto che il perimetro dell’indagine era più ristretto”. I sospetti non si limitano alla criminalit­à, al riciclaggi­o di denaro della mafia nei casinò, ma anche ad alcuni magistrati corrotti che il procurator­e capo osteggiava. La Corte ha inviato alcuni atti alla Procura per approfondi­menti. Nel registro degli indagati è scritto anche il nome di un altro sospetto, Franco D’Onofrio, presunto ’ndrangheti­sta con un passato in Prima Linea, ma la sua posizione andrebbe verso l’archiviazi­one.

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Il procurator­e Bruno Caccia, ucciso nel 1983. A sinistra Rocco Schirripa in Corte d’Assise
Ansa Magistrato Il procurator­e Bruno Caccia, ucciso nel 1983. A sinistra Rocco Schirripa in Corte d’Assise

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