Il Fatto Quotidiano

“Vendicatri­ce dei matti, scovo quelli veri tra noi”

La scrittrice mantiene la promessa fatta in auto alla famiglia, la nuova Inquisizio­ne delle persone “perbene”

- » ARIANNA PORCELLI SAFONOV

Eanche la mia famiglia, se non da venti, almeno da dieci anni, batteva il suo Ciak sempre in prossimità dello stesso incrocio. Di giorno ma soprattutt­o di notte, dentro al l’abitacolo s’in nes cav a, proprio in quel punto e in maniera del tutto innaturale, un silenzio attento, concentrat­o, da chiappe strette, se dovessi descriverl­o a un amico. Qualunque fosse l’argomento nel quale si era tutti coinvolti o eccitati, quando la macchina entrava nell’area rossa del manicomio, ci si serrava la bocca e si guardava con la coda dell’occhio fuori dal finestrino cercando quale fosse il motivo in grado di zittire una famiglia in pochi secondi.

Il raggio dell’area rossa in cui ci si congelava era stato identifica­to dall’inconscio bizzarro di mia madre e nessuno, a parte lei, sapeva precisamen­te dove iniziasse e finisse, anche perché non c’erano dogane o cartelli segnaletic­i che sancissero il piccolo comune immaginari­o molto, molto pericoloso. Ciò che si sapeva è che dentro a quel perimetro, il plot restava lo stesso: uno dei genitori prendeva coraggio e si girava, approfitta­ndo del semaforo rosso e appoggiand­o il gomito sul sedile accanto, fedele alla sceneggiat­ura da seguire. Poi ci guardava dritto nelle pupille e diceva “mettete le sicure”. Noi bimbetti si ubbidiva e si metteva tutti, in sincronia, la sicura. La faccenda, il più delle volte, finiva lì.

Poi però il tempo bastardo consentì a me e ai miei fratelli di crescere e sviluppare rudimenti di senso critico.

Sia maledetto quel momento in cui si diventa coscienti. Sia maledetto quel momento in cui si innescò nei nostri cervelli, la voglia di domandare perché davanti a quel preciso incrocio, bisognasse sempre inserire la cazzo di sicura. Sono l’ultima di tre fratelli quindi, al mio turno di perizia inquisitor­ia, la risposta aveva già fatto pratica e arrivò fresca a perfetta: “Perché ci sono i matti”.

Chi somministr­ò la risposta però, non tenne conto di quanto io, da bambina fossi già profondame­nte cacacazzi. “E allora?”, chiesi come lanciando un sasso.

A casa mia infatti, i figli hanno meno diritti delle blatte dunque immaginare che dei minori s’arrischias­sero a contestare risposte con altre domande era una prospettiv­a utopica. Ma an- che produrre un terzo figlio femmina era abbastanza irreale, prima che piombassi nelle ecografie così, anche per questo e con ancor più presunzion­e, pretendevo una risposta.

Eppure non è dei miei traumi familiari che voglio parlare. Voglio parlare dei traumi familiari, punto. Perché la famiglia è un luogo bellissimo ma se ne potrebbe fare a meno. Essa può divenire un rifugio rassicuran­te come una tana di murene se non la si considera per ciò che è, ossia un salotto con persone che si vogliono bene a Natale, ma la si percepisce in base a ciò che la società perbene vi ha costruito intorno. La famiglia ma anche il posto di lavoro, la location del matrimonio, l’autostrada o il centro commercial­e sono alcuni dei contesti più adatti alla proliferaz­ione della nuova follia.

Perché di società ci si può ammalare. Dentro a quella macchina in cui si aveva paura delle antiche patologie psichiatri­che, mi proposero una risposta di quelle che le dittature fanno scrivere ai loro intellettu­ali per accontenta­re i popoli. Mi dissero che i matti uscivano in orari misteriosi per dar fastidio alle auto delle persone perbene.

Così, guardando fuori dal vetro ermetico e lucido di notte, promisi ai matti che li avrei vendicati.

Mi dissi che sarei andata alla ricerca dei veri soggetti pericolosi, di quella nuova inquisizio­ne travestita da società rispettabi­le e che li avrei scovati uno per uno, i veri pazzi.

Avrei riscattato gli internati scrivendo cartelle cliniche universali e contempora­nee di quei pazienti che non vogliono farsi diagnostic­are nulla e che a casa hanno un sacco di tappeti Bukara dove nascondere orrori e insicurezz­e.

Quei profession­isti, dottori, madri di famiglia e ac

count che siamo noi, sempre rasenti sul filo della psicopatia condominia­le. Promisi questo agli angeli del manicomio.

Poi zitta zitta disinserii la sicura, per essere pronta a scivolare giù dall’auto, in caso di pericolo, in caso l’inquisizio­ne mi avesse scoperta.

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Fotogramma/ Ansa Chi sono i pazzi?A sinistra, l’interno di un manicomio all’inizio degli anni ’90. Sotto, i nuovi “malati” del telefonino: profession­isti, genitori e “account”
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 ??  ?? Storie di matti Arianna Porcelli SafonovPag­ine: 191 Prezzo: 16 e Editore: Fazi
Storie di matti Arianna Porcelli SafonovPag­ine: 191 Prezzo: 16 e Editore: Fazi

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