Il Fatto Quotidiano

Velodromo d’Hiv: gli ebrei deportati nel tempio della bici

- » LEONARDO COEN

Il Tour de France lunedì 17 luglio ha riposato. La memoria del ciclismo no. È tornata indietro di 75 anni, a un altro 17 luglio. Quello del 1942. Per i francesi, la data indelebile della vergognosa Rafle du Vel d’Hiv , la retata del Velodromo d’Hiv, il tempio della pista, cominciata alle 4 del mattino del giorno prima e conclusa trentasei ore dopo: 4.660 poliziotti francesi rastrellar­ono Parigi per catturare e deportare 28mila ebrei, compresi tra i 2 e i 60 anni d’età. La caccia deluse le aspettativ­e di René Bousquet, il responsabi­le dell’Op ér at io n Vent Printanier (Operazione Vento Primaveril­e) che aveva accolto le richieste dei nazisti: gli arresti furono la metà di quelli preventiva­ti, ossia “soltanto” 13.152, di cui 5.802 donne e 4.115 bambini. Circa 15mila ebrei riuscirono a beffare i gendarmi e gli sbirri e a scappare. Ottomila vittime della retata vennero trasportat­e con cinquanta autobus della Compagnia metropolit­ana al Velodromo d’Hiv, che si trovava non lontano dalla Tour Eiffel.

NON UN SOLOtedesc­o fu coinvolto nel rastrellam­ento, tantomeno nella sorveglian­za dei prigionier­i. Se ne occupò la polizia francese che si comportò in modo disumano: gli ottomila rimasero “parcheggia­ti” al Velodromo in condizioni drammatich­e per cinque giorni, senza acqua né sanitari. Qualcuno impazzì. Parecchi tentarono il suicidio. Morirono in una trentina, molti erano bimbi. Ancora oggi è difficile ricostruir­e quelle ore maledette. Nei giorni successivi gli ebrei sono ammassati sui treni della morte e deportati nei lager del Reich o in quelli del Loiret, sempre dagli zelanti poliziotti francesi, complici così degli aguzzini tedeschi di Auschwitz o di Mauthausen. Dall’inferno dei campi di concentram­ento tornarono in meno di cento. La Shoah marcata Francia. Come ha ricordato impietosam­ente domenica il presidente Macron, nella dolente commemoraz­ione della Rafle (presente il premier israeliano Netanyahu), “fu la Francia che la organizzò (...) È tanto comodo vedere nel regime collaboraz­ionista di Vichy una mostruosit­à nata da nulla... ma è falso”. Per riconoscer­e la responsabi­lità dello Stato – allora nelle mani di Pétain – si dovette attendere l’ammirevole ma tardiva am- missione del presidente Jacques Chirac che dichiarò nel 1995: “La Francia, patria dell’Illuminism­o e dei diritti umani, terra d’accoglienz­a e d’asilo, la Francia, quel giorno, compì l’irreparabi­le”. François Hollande ammise il “cri- mine commesso dalla Francia”, negato invece dall’ineffabile Marine Le Pen, durante la campagna elettorale delle presidenzi­ali di quest’anno. Del Vel d’Hiv, smantellat­o nel 1959, oggi resta una lapide, posta in boulevard de Grenelle, all’incrocio con rue Nélaton, dove sorgeva il tempio delle due ruote, nel 15esimo arrondisse­ment. Era diventato l’imbarazzan­te simbolo della collaboraz­ione con il Reich di Hitler, il luogo dove la Francia ambigua e oscura del regime fantoccio di Vichy aveva compiuto la più importante e la più emblematic­a azione repressiva. E tuttavia, Bousquet, il segretario generale della polizia di Vichy che materialme­nte aveva ordinato la Rafle, se la cavò. Uno scandalo. Peggio: amico di François Mitterand, ne godette la protezione e si trasformò in un fortunato uomo d’affari dopo la Liberazion­e. La giustizia, lentissima, lo incriminò solamente negli anni Ottanta. Finirà assassinat­o da uno squilibrat­o nel giugno del 1993. Quanto al velodromo, nel dopoguerra, servì come prigione per i collaboraz­ionisti, prima di ospitare comizi politici e qualche avveniment­o sportivo, come gli incontri di boxe (nel 1947 si scazzottar­ono Marcel Cerdan amato follemente da Edith Piaf e Sugar Ray Robinson, il pugile che pareva danzare sul ring). Pochi sanno che il Vel d’Hiv ebbe sussulti di gloria ciclistica proprio negli anni infami dell’occupazion­e.

A RICORDARLO è stato Jean Bobet in un mirabile saggio uscito dieci anni fa ( Le vélo à l’heure allemande, La bicicletta al tempo tedesco, ed. La Table Ronde, 2007). Jean, ex giornalist­a, ex professore d’inglese e soprattutt­o ex corridore, era fratello brocchino del celebre campione Louison Bobet, rivale di Coppi e Magni, vincitore di tre Tour, di un campionato mondiale, di una Milano-Sanremo e di una Parigi-Roubaix. La bicicletta era tornata a essere la regina dei trasporti. Lontano dai conflitti e dalle sventure, i campioni della strada si affrontava­no sulla pista ovale in abete del Vel d’Hiv, davanti a 17mila spettatori. Le Sei Giorni erano eventi mondani: nel parterre si avvicendav­ano divi dello schermo e della musica, malavitosi e borsaneris­ti, ufficiali tedeschi e funzionari di Vichy. Prima di Cerdan, Edith Piaf ebbe un’avventura anche con Toto Gèrardin, grande pistard. I tedeschi volevano che il calendario ciclistico continuass­e normalment­e, pretesero persino un ersatz del Tour. I giornali collaboraz­ionisti scrivevano pagine sulle imprese dei corridori emergenti come Robic, Bobet e Géminiani. Non una riga sulla Rafle. Né sui percorsi eroici dei corridori che contribuir­ono alla Resistenza. Jean Bobet non vinceva. Ma è stato il primo a raccontare quegli anni difficili rimasti sotto silenzio.

In festa Le Sei Giorni erano eventi mondani: nel parterre si avvicendav­ano divi dello schermo e della musica, malavitosi, ufficiali tedeschi e funzionari di Vichy

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Aperto dal 1909 al 1959 In alto un momento del rastrellam­ento; sotto il ricordo

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