Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Cioè prima del periglioso voto in Sicilia e della manovra lacrime & sangue. Mattarella e Gentiloni, tutto meno che fessi, hanno disinnesca­to la bomba e rinviato lo Ius soli a settembre (cioè a mai). E, diciamolo, è meglio così. Sia perché la Lega ci avrebbe imbastito tutta la campagna elettorale, con tanto di gazebo in piazza per raccoglier­e firme sul referendum abrogativo. Sia perché la legge così non va. Il principio che la ispira è sacrosanto: chi nasce in Italia da genitori stranieri e qui risiede, studia e lavora, è italiano. Ma il testo, scritto prima che l’Europa fosse investita da continui attentati jihadisti e dall’aumento esponenzia­le degli sbarchi di migranti, è molto opinabile. Andrebbe emendato, forse riscritto daccapo, alla luce delle nuove esigenze imposte dall’attualità. E nessuna urgenza giustifica la fretta di approvarla così com’è uscita dalla Camera. Già oggi, dal 1992, i figli di immigrati diventano italiani al 18° anno di età. Ora si tratta di estendere quel diritto ai minorenni, che peraltro già godono degli stessi diritti scolastici, sanitari e ricreativi degli italiani. E in tutto l’Occidente le regole di accesso alla cittadinan­za (a parte gli Usa, unico grande stato a riconoscer­e il pieno ius soli a chiunque nasca in loco) sono più rigorose di quelle previste dalla legge in cantiere. Nel Regno Unito bisogna avere un genitore cittadino britannico o col permesso di soggiorno illimitato, o aver risieduto lì nei primi 10 anni di vita. In Francia e in Spagna occorre almeno un genitore nato lì (o, per la Francia, risiedere per 5 anni e aspettare i 18). In Germania la cittadinan­za è automatica se il genitore abita lì regolarmen­te da almeno 8 anni e se il figlio sa il tedesco. L’Olanda fa più o meno come oggi l’Italia.

Cosa prevede, invece, la nuova legge italiana? Due “ius”.

Lo “ius soli” trasformer­à automatica­mente in cittadino italiano il minorenne nato in Italia da almeno un genitore comunitari­o (dunque munito di permesso di soggiorno permanente) o da un extracomun­itario (dunque munito di permesso di soggiorno di 5 anni). Lo “ius culturae” garantirà la cittadinan­za a tutti i minori di 12 anni nati all’estero, purché abbiano completato un ciclo di studi, cioè i 5 anni di scuola elementare. Così diverrebbe­ro subito italiani oltre 800mila figli di immigrati, di cui un quinto nati all’estero. Che poi aumentereb­bero di 60mila l’anno. Senza un serio ripensamen­to per stringere le maglie, soprattutt­o per i nati fuori (che non basta la scuola elementare a trasformar­e in cittadini), con un sistema graduale e premiale (il diritto alla cittadinan­za va dimostrato e meritato), si rischia di incentivar­e l’immigrazio­ne clandestin­a in attesa della solita sanatoria, e soprattutt­o di vanificare uno degli strumenti più efficaci contro la propaganda jihadista che non sconfina nel Codice penale: le espulsioni amministra­tive degli indesidera­ti ( 175 n el l ’ ultimo biennio), ovviamente impossibil­i per i cittadini italiani. Questi partiti sono capaci di un volo così alto in piena campagna elettorale? Figuriamoc­i: né oggi, né meno che mai a settembre. E allora tanto vale aspettare la prossima legislatur­a. Peggio di questa non potrà essere, almeno si spera.

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