Dalla Prima
Cioè prima del periglioso voto in Sicilia e della manovra lacrime & sangue. Mattarella e Gentiloni, tutto meno che fessi, hanno disinnescato la bomba e rinviato lo Ius soli a settembre (cioè a mai). E, diciamolo, è meglio così. Sia perché la Lega ci avrebbe imbastito tutta la campagna elettorale, con tanto di gazebo in piazza per raccogliere firme sul referendum abrogativo. Sia perché la legge così non va. Il principio che la ispira è sacrosanto: chi nasce in Italia da genitori stranieri e qui risiede, studia e lavora, è italiano. Ma il testo, scritto prima che l’Europa fosse investita da continui attentati jihadisti e dall’aumento esponenziale degli sbarchi di migranti, è molto opinabile. Andrebbe emendato, forse riscritto daccapo, alla luce delle nuove esigenze imposte dall’attualità. E nessuna urgenza giustifica la fretta di approvarla così com’è uscita dalla Camera. Già oggi, dal 1992, i figli di immigrati diventano italiani al 18° anno di età. Ora si tratta di estendere quel diritto ai minorenni, che peraltro già godono degli stessi diritti scolastici, sanitari e ricreativi degli italiani. E in tutto l’Occidente le regole di accesso alla cittadinanza (a parte gli Usa, unico grande stato a riconoscere il pieno ius soli a chiunque nasca in loco) sono più rigorose di quelle previste dalla legge in cantiere. Nel Regno Unito bisogna avere un genitore cittadino britannico o col permesso di soggiorno illimitato, o aver risieduto lì nei primi 10 anni di vita. In Francia e in Spagna occorre almeno un genitore nato lì (o, per la Francia, risiedere per 5 anni e aspettare i 18). In Germania la cittadinanza è automatica se il genitore abita lì regolarmente da almeno 8 anni e se il figlio sa il tedesco. L’Olanda fa più o meno come oggi l’Italia.
Cosa prevede, invece, la nuova legge italiana? Due “ius”.
Lo “ius soli” trasformerà automaticamente in cittadino italiano il minorenne nato in Italia da almeno un genitore comunitario (dunque munito di permesso di soggiorno permanente) o da un extracomunitario (dunque munito di permesso di soggiorno di 5 anni). Lo “ius culturae” garantirà la cittadinanza a tutti i minori di 12 anni nati all’estero, purché abbiano completato un ciclo di studi, cioè i 5 anni di scuola elementare. Così diverrebbero subito italiani oltre 800mila figli di immigrati, di cui un quinto nati all’estero. Che poi aumenterebbero di 60mila l’anno. Senza un serio ripensamento per stringere le maglie, soprattutto per i nati fuori (che non basta la scuola elementare a trasformare in cittadini), con un sistema graduale e premiale (il diritto alla cittadinanza va dimostrato e meritato), si rischia di incentivare l’immigrazione clandestina in attesa della solita sanatoria, e soprattutto di vanificare uno degli strumenti più efficaci contro la propaganda jihadista che non sconfina nel Codice penale: le espulsioni amministrative degli indesiderati ( 175 n el l ’ ultimo biennio), ovviamente impossibili per i cittadini italiani. Questi partiti sono capaci di un volo così alto in piena campagna elettorale? Figuriamoci: né oggi, né meno che mai a settembre. E allora tanto vale aspettare la prossima legislatura. Peggio di questa non potrà essere, almeno si spera.